Koyaanisqatsi, la vita senza equilibrio di Godfrey Reggio
- “If we dig precious things from the land, we will invite disaster.”
- “Near the Day of Purification, there will be cobwebs spun back and forth in the sky.”
- “A container of ashes might one day be thrown from the sky, which could burn the land and boil the oceans.”
Profezie Hopi cantate durante il film.
Koyaanisqatsi è un film sperimentale degli anni 80. O meglio, è un documentario di 87 minuti senza personaggi, trama o struttura narrativa diretto da Godfrey Reggio, con musica composta da Philip Glass e la cinematografia di Ron Fricke. Capostipite della trilogia Quatsi (Koyaanisqatsi, 1982, Powaqqatsi, 1988 e Naqoyqatsi, 2002), il cui titolo deriva dall’unione di due parole in lingua Hopi che unite significano “vita senza equilibrio”.
“Non volevo mostrare l’ovvietà dell’ingiustizia, della diseguaglianza sociale, della guerra, ecc.” Ha dichiarato Reggio, “volevo mostrare ciò di cui siamo più orgogliosi: la nostra bestia splendente, il nostro modo di vivere, quindi [il film] riguarda solo la bellezza di questa bestia”.
“Quello che ho cercato di mostrare è che l’evento principale di oggi non è visto da chi lo vive. Vediamo la superficie dei giornali e l’evidenza dei conflitti, l’ingiustizia sociale, il mercato, il flusso della cultura… Ma l’evento più grande e più importante di tutta la nostra storia è passato fondamentalmente inosservato: la trasformazione della vecchia natura – o l’ambiente naturale come ospite della vita umana – in un ambiente tecnologico, costituito da tecnologia di massa“.
Potremmo quindi affermare che Koyaanisqatsi è un documentario che parla di un passaggio tra due mondi. Dal mondo naturale a quello artificiale, attraverso il quale è possibile osservare senza tante ideologie come la natura sia finita con il diventare una risorsa da tutelare al solo fine di tenere in vita la nuova natura artificiale nella quale abitiamo senza neanche renderci conto.
Il film esprime perfettamente questo sentimento senza nome: nella prima parte infatti è possibile osservare un mondo silenzioso, lento, pacifico che respira senza fatica e segue il suo corso senza affanno. Nella seconda invece, assistiamo all’accelerazione improvvisa dei ritmi, con una velocità tale da stravolgere le immagini stesse.
Attraverso l’accelerazione delle riprese infatti, il regista non solo conferisce un senso di soffocamento e angoscia al filmato, ma ne deforma le immagini: lo spettatore può così testimoniare la realtà crollare su se stessa sotto il movimento incontrollato che essa stessa ha generato nel suo progredire.
Anche le persone che appaiono durante il film diventano pian piano irriconoscibili una volta travolte dalla velocità del progresso, poiché finiscono con il perdere i loro confini e gli elementi che ci permettono di identificarli. Nei rari momenti in cui riusciamo a vedere i loro volti, ci appaiono assenti e perduti, come se non riuscissero a capire neanche loro il senso di ciò che accade.
E forse, proprio a causa di questo senso di smarrimento, Koyaanisqatsi “per alcuni rappresenta un film ambientalista, per altri è un’ode alla tecnologia, per alcuni una merda, per altri ancora un film in grado di smuovere le coscienze di chi lo guarda. Dipende da a chi lo chiedi […] ma è il viaggio a essere il vero obiettivo” perché, come dichiarato da Reggio stesso in un’intervista del 2002, Koyaanisqatsi “ha lo scopo di offrire un’esperienza, piuttosto che un’idea“.
E grazie a questa esperienza, per la prima volta noi spettatori abbiamo avuto la possibilità di osservarci dall’esterno e diventare consapevoli attraverso l’uso delle sole immagini del fatto che, per continuare a esistere, la nostra società così come siamo abituati a conoscerla ha bisogno di restare in un disequilibrio perpetuo.
E anche se oggi Koyaanisqatsi può apparirci superato, e né l’esperienza né la consapevolezza che ci regala sono sufficienti per bilanciare la mancanza di armonia che continuiamo a sopportare così precariamente, resta comunque il primo primo passo per iniziare il viaggio verso la possibile conquista di un nuovo equilibrio.
“Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli.
Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati.
Credo nelle rampe in disuso di Wake Island, che puntano verso il Pacifico della nostra immaginazione.”
Ciò in cui credo, 1984 J. G. Ballard
Titolo originale | Koyaanisqatsi: Life Out of Balance
Regia | Godfrey Reggio
Durara | 87 min
Soundtrack | Philip Glass