Joker, fra dramma esistenziale, universo Batman e Scorsese
In una società diversa, Arthur avrebbe avuto un destino differente?
Il regista Todd Phillips riesce nel difficilissimo compito di fondere insieme film diversi, mantenendo un sostanziale equilibrio. Joker infatti è a tutti gli effetti un dramma che racconta la discesa nella follia di un uomo e di una intera società; è a tutti gli effetti un film sul Joker, storico e carismatico antagonista di Batman; ed è infine un immenso omaggio al cinema di Martin Scorsese. Non serve né conoscere la mitologia di Batman (ma vabbè, siete alieni?) né il cinema di Scorsese per apprezzare un film capace di esistere ed essere completo senza il bisogno delle sovrastrutture citate. Queste, tuttavia, ci aiutano ad apprezzarlo ancora di più.
I riferimenti interni a film precedenti sono molteplici. Oltre ad un paio di scene che creano continuità con il Cavaliere Oscuro di Nolan, i riferimenti maggiori sono quelli dedicati a Martin Scorsese ed ai suoi film degli anni ’70/80. Le citazioni di Taxi Driver saranno chiare ai più (il pedinamento, il monologo con la pistola), tuttavia Joker omaggia soprattutto un altro e meno noto film: Re per una Notte (King of Comedy). Considerato uno Scorsese “minore” e bocciato dal pubblico dell’epoca, rimane una pietra miliare del suo cinema, incentrata sul rapporto morboso fra un fan ed un condutture televisivo e sull’impatto della televisione sulla vita e sulla società. Metafora del periodo politico del presidente Reagan, dove la maschera televisiva si fa sostanza e permette di veicolare qualunque messaggio o scelta politica (il trumpismo nasce lì). Il protagonista del film di Scorsese, Robert De Niro, recita in Joker a parti invertite, assumendo il ruolo del carismatico conduttore televisivo che era stato di Jerry Lewis e riprendendone movenze e battute (fra cui il fondamentale “tutti pensano di poter fare il mio lavoro” ed hanno ragione, sia in Scorsese che in Phillips. Questo è il problema).
Oltre ad alcune scene evidenti ed alla trama, Joker ricorda Re per una Notte per la sostanziale ambiguità morale che lo pervade. La potenza di Joker, infatti, è quella di descrivere la psicologia del suo protagonista in maniera approfondita (anche grazie alla strepitosa interpretazione di Joaquin Phoenix) ed il suo progressivo mutamento da schivo malato di mente fino a folle criminale. Il regista insiste inoltre sulle concause della società in cui il protagonista Arthur è inserito, che pur descrivendo una Gotham degli anni ’80, possono facilmente essere applicate al giorno d’oggi.
Mancanza di empatia e di mutuo aiuto, accanimento contro i più deboli, fratture sociali fra i ricchi ed i poveri, sempre più marcate e meno ricucite, un sistema di welfare ed una sanità totalmente assente e disinteressata (gli americani muoiono perché non possono pagarsi l’insulina). Questi fattori esacerbano una condizione mentale precaria, fino a farla esplodere. Fortunatamente il film non prova ad affermare che la società sia causa di malattia mentale (Arthur è malato già prima di essere picchiato, licenziato, deriso), ma pone un interessante quesito che sottende quasi tutto il film: in una società diversa, Arthur avrebbe avuto un destino differente?
La descrizione del Joker e della sua società sono le ragioni per cui negli Stati Uniti hanno paura di emulazione. Ma è una paura giustificata?
Per il nostro occhio europeo decisamente no (sebbene…), ma le cose cambiano quando si supera l’oceano. Il film parteggia per il protagonista Arthur ed in particolare evidenzia quanto gli altri siano la concausa della sua accettazione dell’abisso. Non pone il dubbio morale che lui sia un simbolo di totale negatività. La morale americana viene dal protestantesimo e dal puritanesimo, cioè si basa sulla predestinazione e sulla certezza della pena (se non terrena, quantomeno divina). Il cinema è ovviamente influenzato da questa visione: i personaggi dichiaratamente negativi che vincono sono pochi, possono al massimo essere criminali minori. Se si pensa anche alle grandi saghe di mafia, pur nella loro bellezza, ma i “giusti” alla fine trionfano (per rimanere a Scorsese, Quei Bravi Ragazzi). Possiamo immedesimarci nelle prodezze da ladro di Ocean’s Eleven, solo perché i furti (oltre ad essere crimini minori) sono a danno di ricchissimi possessori di casinò, collusi con la malavita. C’è una giustificazione morale anche nel crimine.
In Joker no, il film prende le parti del cattivo e del folle, che per caso diventa simbolo di rivolta. E questo negli Stati Uniti può essere pericoloso. Specie quando Arthur diventa una sorta di “incel”, bianco, distrutto dalla società ed in particolare dalle donne. Un potenziale stragista bianco: non necessariamente un suprematista, ma uno di quei personaggi non politici che finiscono però per riconoscersi nella alt-right americana, perché trovano un nemico comune.
Questa è la grande trovata del film (ed anche il suo più grosso limite). Joker non solo rappresenta, ma parla anche come un incel. Il monologo finale “You get what you fucking deserve” ricorda da vicinissimo quello di Elliot Rodger ripreso dalla sua videocamera in macchina poco prima del massacro di Isla Vista. Pur essendo ambientato negli anni ’80 di Reagan, le tematiche sono di fortissima attualità e potenzialmente pericolose (di nuovo, per un mondo ed un modus pensandi come quello statunitense). La coerenza interna del film sta tutta qui e lo rende un film del tutto autonomo dalle mitologie precedenti.
Sebbene il Joker della parte finale sia un Joker fumettistico, in cui si riconoscono tutta una serie di riferimenti (da The Killing Joke di Alan Moore a quell’effeminatezza che McKean e Morrison gli diedero in Arkham Asylum). Ed è fondamentalmente la prima volta che Joker ha delle motivazioni: da sempre considerato agente del caos, senza perciò bisogno di una back-story o di una motivazione forte. Esattamente come l’uomo senza passato del Cavaliere Oscuro. Che nel film di Phillips non solo assume un passato (e non è detto che sia una cosa positiva per il personaggio), ma viene assunto a contraltare di Batman, ribaltandone il ruolo: dove il pipistrello creava coscientemente un simbolo del bene, Arthur diventa suo malgrado ed in maniera del tutto inconsapevole un simbolo del male. Un male che, però, in qualche maniera pare giustificato (o giustificabile) nel film.
Infine, dunque, Joker di Todd Phillips è un bel film? Sì, è un noir tesissimo con una splendida atmosfera; è un ottimo film dell’universo di Batman ed un bel remake di Re per una Notte. E questo al netto di una serie di leggerezze di scrittura e di una parte centrale a tratti farraginosa, ma ugualmente capace di creare quella tensione che esplode fragorosa nella parte finale, dove non manca la violenza (e dove la violenza peggiore ci viene risparmiata con una notevole ellissi registica). Il regista è abile non solo a creare alcune sequenze di iconica bellezza (la sparatoria in metropolitana), avvalendosi anche di una fotografia molto curata, ma soprattutto nel lasciare tutto lo spazio possibile al suo attore.
Il vero capolavoro del film è, infatti, l’interpretazione di Joaquin Phoenix, che si carica sulle (ossute) spalle il film e lo porta in giro come vuole lui. Il regista lo segue, stringendo sulle sue capacità espressive o allargando sull’abilità fisica e corporea di un attore che guadagna così uno dei punti più alte della sua carriera. Phoenix riesce ad essere sempre intenso, sia quando recita con la faccia che quando recita col corpo. La sua interpretazione segue una parabola anticlimatica, cominciando con un clamoroso overacting che via via viene riducendosi mentre Arthur diventa Joker, mentre la maschera viene tolta rivelando il nulla che c’è sotto, lasciando la maschera come l’unica esistenza possibile.
Il Joker oramai “completo” che parla con De Niro non necessita più di controllare la risata. Lui è quella risata, dietro la quale non si nasconde alcuna battuta divertente. Dietro la quale non si nasconde alcunché. Phoenix riesce a trasmetterci la trasformazione in maniera eccellente, donandoci uno dei più interessanti villains moderni.
Titolo originale | Joker
Regia | Todd Phillips
Anno | 2019
Durata | 123 min