Press fire on tape | Ricordi di John Woo e di un domani migliore
Forse qualcuno di voi ricorderà gli anni ’90: un’era nella quale internet già esisteva, ma era un’utopia per molti di noi, e la casa di ogni cinefilo che si rispettasse era piena di orrendi oggetti di plastica chiamati VHS.
Questo artefatto del capitalismo, chimico e freddo, è paradossalmente legato a molti bei ricordi, provenienti da una fase della mia vita nella quale costituiva l’unico strumento per recuperare, magari già il giorno dopo, tutto il fascino del cinema d’autore che le emittenti televisive di allora trasmettevano a notte fonda. Non solo: potevi ammirare certe tue ossessioni filmiche quante volte volevi, e mi vergogno un po’ a dire che forse certi titoli – per me – avevano persino più senso visti così. Certo, ora puoi vedere Blade Runner in formato Bluray su uno schermo 4k, e senza il voiceover di Deckard, ma lo hai davvero capito?
Fu proprio durante alcune memorabili nottate di tanti anni fa che la tv italiana trasmise – non so se per la prima volta, non mi stupirebbe – i titoli più noti di John Woo, il regista di Hong Kong che per molti di noi ha acceso la miccia di un amore esplosivo nei confronti dei film del suo paese. La rassegna era in ordine cronologico, e partiva col botto: A Better Tomorrow (1986) è un film che dovrebbe essere citato non solo in ogni libro di storia del cinema asiatico, ma che è stato anche parte integrante e vitale della Storia di Hong Kong.
Il suo successo fu di proporzioni tali da lanciare il genere dell’heroic bloodshed, che può vantare innumerevoli tentativi di emulazione anche in occidente (mai all’altezza dei capostipite), e con esso una delle stelle orientali più riconoscibili: quel Chow Yun-Fat che diventerà di lì in poi il volto impossibilmente cool di quasi tutti i capolavori di Woo, un’icona generazionale che spingerà molti giovani hongkonghesi di allora a imitarne il look di ordinanza, a base di occhiali da sole e spolverino scuro.
Il film allora mi colpì moltissimo: sì, ci rivedevo molto cinema che già conoscevo, sia del passato – soprattutto Melville e Peckinpah – che del presente, proprio in virtù del fatto che a partire dal 1986, anno di uscita del film, era stato impossibile produrre un qualsiasi action movie che ignorasse questo tornado che veniva dall’est. A impressionarmi fu soprattutto il senso del ritmo, evidentemente costruito con immane sforzo in sala di montaggio e che non lasciava mai il tempo di respirare durante le scene d’azione, assieme però a un fattore molto più alieno alla mia storia di spettatore.
A Better Tomorrow è anche, e spudoratamente, un melodramma che non risparmia quasi nessun colpo basso, e che a esplosioni, inseguimenti e sparatorie alterna spesso e volentieri “scene madri” di tutt’altro tipo, fatte di emotività intensa e senza pudore: lacrime e sangue, insomma, al punto che il cast sembra esser stato composto appositamente per abbracciare questa schizofrenia.
Al già citato Chow, nel ruolo di un sicario della Triade caduto in disgrazia, il film affiancava Ti Lung, un veterano dei film di cappa e spada la cui carriera era in netto declino fino ad allora, e il rimpianto Leslie Cheung, stella del pop e volto tormentato di molto cinema d’autore di Hong Kong di là da venire. Questi ultimi interpretano due fratelli, il primo un malavitoso in cerca di redenzione, il secondo un giovane poliziotto idealista che non approva le scelte di vita del fratello maggiore. Un terzetto che insomma sembra comporre una perfetta famiglia disfunzionale, specchio di generi e tendenze che rispecchiavano una società in fase di tormentata ma decisa evoluzione.
La formula di Woo trovava quindi una sua prima, brillante espressione, trascinata dall’eccitante progressione delle scene d’azione, eppure scindibile dalla sua ossessione per le storie di rapporti maschili conflittuali, nelle quali la presenza femminile – ahimè – pare una semplice nota a margine.
Eppure A Better Tomorrow era ben lontano dall’aver raggiunto una perfetta alchimia nello sposare due filoni così radicalmente antitetici: già allora le esagerazioni mélo mi sembravano a volte molto meno organiche e credibili delle pistole che non si scaricavano mai, o della capacità sovrannaturale di alcuni personaggi di sopravvivere a ferite multiple da arma da fuoco. La suspension of disbelief è un fattore chiave per apprezzare il cinema di Woo, ma forse è più difficile abbracciarla a pieno se appena qualche minuto prima eri sommerso da fiumi di melassa o musica strappalacrime.
A prescindere però da qualsiasi giudizio critico e di merito, ne conservo sempre un ricordo prezioso, che si fa ancora più intenso ripensando al successivo A Better Tomorrow II (1987): nato per capitalizzare il successo straordinario del primo film, questo sequel nasceva però sotto la cattiva stella del rapporto ormai degradato tra John e Tsui Hark, che anche del primo film era stato produttore. I due avevano idee del tutto antitetiche sulla direzione artistica da intraprendere, e il risultato finale è ben lontano dal riuscire nel miracolo di nasconderlo.
A partire dalla scelta di reclutare nuovamente Chow Yun-Fat, che interpreta un improbabile fratello gemello del suo personaggio morto nel primo film, fino all’aggiunta al cast originale di Dean Shek in un ruolo che sfida a più riprese la mia allergia agli eccessi melodrammatici della serie, A Better Tomorrow II sembra prendere quel poco che a mio parere non funzionava del primo film e lo ripropone all’ennesima potenza.
Perché quindi ho deciso di parlarne?
Ecco il motivo: nonostante sia in coda a un film maldestro e spesso imperfetto, i dieci minuti di questa scena conclusiva sono un’autentica epifania, in più di un senso.
Il massacro finale di A Better Tomorrow II, un’orgia sanguinolenta nel quale il trio dei protagonisti sopravvissuti fronteggia un esercito di malavitosi e si immola nel nome della vendetta (e dello spettacolo), è il momento in cui penso che il cinema di Woo “trovi” davvero se stesso, raggiungendo per la prima volta quel magico climax nel quale il melodramma, l’azione, la violenza convergono all’apice dell’eccesso e si elevano a vicenda.
Incidentalmente, questa scena coincide anche con l’occasione in cui finalmente anch’io realizzai di aver incontrato qualcosa di speciale, avendo visto i suoi film in ordine cronologico, e da quell’istante in poi mi innamorai definitivamente dell’unicità del suo cinema. Come lui stesso ha più volte dichiarato, la logica può essere molto noiosa: soprattutto se intralciasse un momento come ad esempio il duello western tra Chow Yun-Fat e uno dei sicari della Triade (è dal minuto 6:40, se non avete voglia di vedere tutto il video), che è pura poesia Leoniana o machismo nonsense a seconda del punto di osservazione.
La divina contraddizione del cinema di Woo è tutta qui, e farà la forza dei suoi “veri” capolavori come The Killer, Bullet in the Head e Hard Boiled. Ma l’eccitazione della prima volta è difficile da scordare.
Andrea Limone
*la versione originale di questo articolo è uscita sul blog di Andrea, DeeperIntoMovies