Jabberwocky, di Jan Švankmajer

Jabberwocky, di Jan Švankmajer

Noto per la sua eccentricità e per la poetica che supera, alle volte, il surrealismo, Jan Svankmajer è un regista ceco capace di aprire mondi, ovunque si posi il suo sguardo. Maestro dello stop-motion, che mescola con altre tecniche cinematografiche, a creare un effetto straniante quanto affascinante.

E cosa di più adatto di una poesia nonsense di Lewis Carroll, contenuta in Oltre lo specchio, per ispirare la mente del regista? Jabberwocky nasce così. La nota poesia di Carroll viene recitata nei primi minuti da una voce infantile, mentre si crea il mondo che continuerà ad esistere oltre la poesia. Bambole cannibali che si animano, vestiti che svolazzano e ballano, soldatini in marcia, distrutti da una mostruosa creatura (in realtà un innocuo suppellettile) armadi dentro cui si nascondono mondi misteriosi. Tutto ciò che la fantasia può animare, viene animato. Sotto lo sguardo severo ma divertito di un ritratta, unica figura adulta del cortometraggio.

I suoni sono forti, quasi abbacinanti, mentre le immagini si susseguono ad un ritmo forsennato. Non si tratta solo di giochi di bambini, interrotti da un malevolo gatto che ci ricorda i nostri errori. Sotto questi giochi si cela una natura aggressiva e in qualche modo disturbante, ed anche delle pulsioni sessuali ancora non formate, forse presagio dell’età adulta o semplicemente della incapacità di giudizio che spesso i bambini mostrano.

Ciò che resta è una giostra folle di immagini fantasmatiche e l’ammonimento: Beware the Jabberwock, my son!

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2 COMMENTS

  1. Concordo Luigi! Ma in fin dei conti, l’arte non può essere solo bellezza. A volte deve mettere a disagio.

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