Bisogna maturare uno spirito da bracconiere

“Come ho incontrato i pesci” canta l’erba, il sole, l’acqua, le anguille, i lucci, le trote. L’emozione unica che si sente se la canna inizia a tremare quando il pesce abbocca. Ota Pavel è uno scrittore del secolo scorso, vissuto a cavallo della seconda guerra mondiale. “Come ho incontrato i pesci” racconta la sua vita di pescatore tra i fiumi della Cecoslovacchia. Con uno stile semplice e poetico, simile a quello di Erri de Luca, che lo ha definito uno dei più begli incontri letterari della sua vita, descrive nei dettagli le uscite a pesca, con la precisione che può conoscere solo uno che pescatore lo è stato veramente. Ai confini del racconto scorre la storia, con il comunismo e il nazismo. I fratelli e il padre del protagonista passano dai campi di concentramento. Ma niente viene raccontato, se non quando questi ritornano, a respirare il fiume con in mano la canna e le esche.

Mio padre ci portava a pescare sui torrenti in Val d’Aosta da bambini per insegnarci a non essere imbranati. A camminare senza scivolare sulle rocce, a non essere schizzinosi toccando vermi e viscere di pesce, a prendere le decisioni velocemente. Una lezione importante della pesca capita quando ti si attorciglia il filo. Bisogna capire se vale la pena perdere tempo a scioglierlo o si fa prima a tagliare e rifare la lenza. Alle volte i problemi sono solo grovigli di filo che si fa prima a tagliare. Uno non se ne accorge, ma sono solo piccole sciocchezze personali. La cosa importante è prendere i pesci. Scovare le bellezze infinite che offre il mondo, che sono più grandi di tutto il resto. Questo non lo capisci subito, bisogna maturare uno spirito da bracconiere.

Ota Pavel non è solo pescatore, è un vero e proprio bracconiere, nei suoi racconti spesso si trova a sfidare le proprietà private per portare a casa le anguille più grosse. Anche mio padre è sempre stato bracconiere. Bracconiere di vita. Caccia ogni momento, non si lascia scappare nessuna occasione per stare bene e per fare stare bene chi è con lui, e se qualcuno della famiglia perde una possibilità di essere felice, è triste come se avesse perso la trota più grande. In questo mondo troppo intellettuale, c’è bisogno di più bracconieri. Che i momenti tristi arrivano da soli, i momenti belli bisogna cercarseli, saperli trovare nelle pozze con più acqua, al momento giusto della giornata, quando escono a cercare da mangiare.

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“Il cielo uno lo vede, nel bosco ci può guardare ma in un fiume come si deve non ci si vede mai”. Il fiume è come la vita. C’è sempre un grado di incertezza e fiducia. Anche al pescatore più bravo può capitare di stare ore senza tirare su niente. Alla fine del libro, nell’epilogo, dopo 22 capitoli di avventure, l’autore confessa che erano tutti ricordi bellissimi di uno schizofrenico. Nel febbraio 1964 infatti, alle Olimpiadi di Innsbruck, a 34 anni Ota Pavel fu colpito da una grave forma di ciclofrenia, vale a dire psicosi maniaco-depressiva associata a elementi di schizofrenia, e da allora cominciò a entrare e uscire dagli ospedali psichiatrici. “Cento volte avrei voluto ammazzarmi, quando non ce la facevo più, ma non l’avevo mai fatto. Era stata la pesca che mi aveva insegnato la pazienza e i ricordi mi aiutavano a vivere”.

Pescare e’ un avventura, un canto, una preghiera, uno stare fianco a fianco con i pesci, nostri fratelli in questo mondo dove capita di ammalarsi e morire. “Pescare è soprattutto libertà. Fare interi chilometri per trovare le trote. Bere l’acqua delle sorgenti, essere libero almeno per un’ora, per giorni, o addirittura per settimane e per mesi. Libero dalla televisione, dai giornali, dalla radio e dalla civiltà.”

Io e Jay Bargiani in una foto d’archivio

 

 

 

Ota Pavel

Come ho incontrato i pesci

1974

Keller editore

 

 

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