In Basilicata ad agosto, cercando la terra dove finisce la terra

In Basilicata ad agosto, cercando la terra dove finisce la terra

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Basilicata

Perchè io abbia scelto una giornata grigia come questa per parlare di luce ed estate, mentre la Pianura e il cielo sembrano risuonare da ore tutti i brani di Unforgettable Fire, io non so. Ho rimandato di dire, come rimando da tempo, vittima di quel vuoto di narrazione e sovrabbondanza di immagini che ha caratterizzato gli ultimi anni.

È stato un lungo periodo di esplorazioni della natura con sempre maggiore attenzione ad ogni pianta, ogni pietra, ogni cima, ogni paesaggio. Ho imparato che i luoghi mi colpiscono di più se visti nei loro climi più estremi, come se si manifestassero nella loro versione più autentica, nonostante la fatica provata nell’attraversarli sferzata dal peggior vento, fradicia di pioggia o frastornata dal caldo.

È per questo e per tante altre ragioni che sono finita in Basilicata in pieno agosto, vittima di una fascinazione per una zona d’Italia sconosciuta ma letta in tanti libri, richiamata da un’immagine di terra pietrosa, di panorami gialli e silenziosi, di storie antiche.

 

Volevo vedere il vero Sud, quella terra di dove finisce la terravolevo vedere le feste, le sagre, i costumi e i riti. Volevo conoscere un posto, anche nella sua asprezza, perché di luoghi ameni ma finti e di centri storici tutti uguali credo di aver visto quel poco che basta, e sono abbastanza anziana da non volerci dedicare altro tempo.

Quindi ecco a voi un piccolo elenco di ciò che ho portato a casa con me del mio viaggio in una caldissima Basilicata estiva.

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La Basilicata è Appennino, o almeno lo è in buona parte e la sua gente, nella sobria dignità dei suoi mille borghi arroccati sulle montagne e nella fiera sovrabbondanza delle sue infinite sagre, mi ha ricordato le vicine colline emiliane e le loro tradizioni. Ho assaggiato il Canestrato di Moliterno in ogni sua ricetta, camminato sui Palmenti di Pietragalla durante Cantinarte, chiacchierato con i fruttivendoli di Pisticci, passeggiato per Cancellara e festeggiato San Rocco a Tolve e ogni volta mi sono sentita parte di piccole e accoglienti comunità in festa

La Basilicata può essere montagna. Lo hanno visto i miei occhi e testato le mie mani mentre percorrevo la via ferrata Marcirosa tra Pietrapertosa e Castelmezzano, sulle Piccole Dolomiti Lucane, dove ad agosto si è praticamente soli, perchè tutti i visitatori sono lì per provare l’adrenalina del Volo dell’angelo, lanciati in quota su un cavo d’acciaio tra i due paesi e quelle rocce appuntite. La scelta di fare al tramonto una delle due ferrate collocate su quei picchi merita sicuramente un ritorno in una stagione più clemente e mi lascia in eredità (forse) il superamento della paura dei ponti tibetani.

Se hai amato Cristo si è fermato a Eboli, in Basilicata troverai quello che cerchi.
Se come me sei arrivato in Basilicata alla ricerca di argilla e calanchi, non stai sbagliando. Specialmente ad Aliano dove tutto evoca Carlo Levi, dove in ogni strada è ricordato un brano del libro dedicato a una casa, una piazza, una veduta. La spettacolarità del Parco dei Calanchi, paesaggio unico e incredibile, da anni diventato teatro di tante manifestazioni come “La luna e i Calanchi” di Franco Arminio, avrebbe meritato più tempo per sanare la mia fame di pietra e cammini di più giorni.

A Matera, tra i sassi, fa ancora più caldo, l’ho capito al terzo svarione quando anche le Birkenstock hanno deciso di incidermi i piedi e lasciarmi lì, tramortita, davanti a tanta bellezza. Già ero stata stregata da Craco e dalle sue tre croci ai piedi di un paese abbandonato in un mezzogiorno rovente ma ne ho avuto conferma a Matera, dove le strade strette tra le case scavate nella roccia rendono ancora più difficile trovare aria e refrigerio. Vorrei aver imparato e capito più cose su Matera e mi riprometto di farlo anche se da anni fatico a concentrarmi su qualsiasi cosa sia vagamente urbana e infatti dalla parte alta della città ho guardato a lungo il parco della Murgia Materana immaginando trekking impossibili a quaranta gradi.

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In Basilicata il mare arriva un po’ all’improvviso, come se non fosse del tutto previsto. Però è bellissimo e non affollato come le date infauste della metà di agosto avrebbero lasciato presagire. Ho visto grotte, ho cercato di arrampicare male su scogli, ho riaffrontato il tema dei tuffi, che avevo accantonato anni fa. Insomma, Maratea e i due siti “Spiaggia della Grotta della Scala” e “Spiaggia Nera” mi hanno riconciliata con il mare nella sua versione più rocciosa.

In Basilicata può essere difficile campeggiare, soprattutto lontano dalla costa. Nell’entroterra le possibilità di pianificare una vacanza in tenda sono poche anche se a volte, grazie al passaparola, si presentano soluzioni inattese come un’area per il campeggio libero all’interno del parco Avventura del Parco Gallipoli Cognato. Arrivare nel pieno caos di grigliate e sound neomelodico e reggaeton di Ferragosto ha indubbiamente fatto sembrare quel bosco disperso tra le montagne il centro del mondo ma si è presto scoperto che quella folla era un’eccezione e di notte si rimane soli nel buio della foresta, con la sola compagnia dei richiami e dei passi degli animali tra gli alberi.




In Basilicata non è difficile incontrare Rocco Papaleo e ritrovarsi in un pezzo di Basilicata coast to coast. Infatti, appollaiata tra i magici Palmenti di Pietragalla, ho seguito con piacere un dibattito sul tema “ce la farà la Basilicata a salvarsi” tenuto da Papaleo e il cuoco Peppone Calabrese in apertura della manifestazione eno-gastronomico-artistica Cantinarte. Ho potuto così ripassare “Basilicata on my mind” che non ricordavo di sapere e che la mia testa mi ha riproposto per giorni fino al ritorno.

Spesso in Basilicata ci si sente in una canzone di Vinicio Capossela.  E citarne solo una sarebbe ingiusto perché oltre all’ovvio pensiero al Ballo di San Vito, ritrovato nell’abbondanza del cibo e nelle luci sul dorso della chiesa fiammeggiante di Moliterno, non ho potuto non pensare all’esultanza dell’Uomo vivo nel partecipare al corteo di San Rocco a Tolve, tra mortaretti e fumogeni colorati.
Guardando i paesaggi dal finestrino ho sentito nella mia testa suonare l’intro di Non è l’amore che va via mentre alla festa di Pietragalla canticchiavo tra me e me la Padrona mia mentre gli uomini e le donne del paese si esibivano in balli e canti popolari.

Questa colonna sonora silenziosa è stata una presenza costante anche se molto vaga, dato che i luoghi, la provenienza e i santi citati non sono davvero quelli, ma poco conta per una volta la precisione, quelle canzoni erano lì con me

Di questa avventura, insieme a molte provviste enogastronomiche, ho portato a casa un cucù, classico souvenir di Matera, che un gentilissimo artigiano mi ha lasciato con perplessità acquistare al naturale senza la verniciatura variopinta che dovrebbe ricoprirlo. Mi guarda ora dalla libreria e il suo colore argilla mi ricorda i tanti gialli e marroni che mi hanno riempito gli occhi in terra lucana.

 

 

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