Il Ponte delle Spie, di Steven Spielberg

Il Ponte delle Spie, di Steven Spielberg

Quella faccia da "non ho idea di come io sia arrivato qui e per quale ragione". Come me quando mi sono svegliato stamattina.

Dopo qualche svarione sentimentalista (dico un nome a caso, War Horse -no, davvero Steve, ma come ti è venuto in mente?-), Spielberg con Il Ponte delle Spie torna a fare un ottimo film americano. Steven Spielberg è rimasto uno dei pochi registi americani a fare veri film americani. Oltre il semplice lavoro di maniera (sebbene un po’ di manierismo ci sia sempre), la regia è americana: quasi invisibile ma sempre presente, con le scene che partono da un particolare o da una visione laterale per poi allargarsi ad abbraccaire i personaggi; la sceneggiatura (dei Coen) è americana: compatta e precisa, la cosa fondamentale è raccontare una storia, ottimi i dialoghi anche quando sfumano in quel lieve patetismo tipicamente americano; americani anche i personaggi: la poetica dell’uomo “ordinario” che si trova a gestire situazione “straordinarie”, tutto da solo, tutto d’un pezzo, come viene più volte ricordato. In questo ruolo Tom Hanks  è perfetto, con una recitazione quasi dimessa, sempre lievemente corrucciato e naturalmente “normale”.

Il film, dunque, scorre godibile e piacevole, senza scossoni né grandi colpi di scena, sebbene una certa lungaggine eccessiva, come nei tre-quattro finali di cui si poteva francamente fare a meno. Visto il tono ed il ritmo non frenetico del film, la singola scena di guerra risultata totalmente fuori luogo ed avulsa dal contesto.

Ogni tanto un film vecchio stile fa bene.

 

Voto: 7

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