Il poeta è un fingitore | Cosa mi piace di Pessoa
Mi capita questo: sto guidando, vedo un gatto incastrato (i gatti incastrati esistono) in un cassonetto giallo per gli abiti riciclati e penso a quella poesia di Pessoa che leggevo quando stavo peggio (quando sto meglio non leggo poesie).
Quando capita questo, a un certo punto mi convinco che il gatto sono io il cassonetto è l’iperglicemia da stress l’incastramento è il seppuku della mia forza di volontà. La poesia di Pessoa che leggevo quando stavo peggio invece è sempre la poesia di Pessoa che leggevo quando stavo peggio.
Se prendo la pagina con la poesia di Pessoa, strappo l’angolo in alto a destra e la giro di 180°, la poesia di Pessoa ha la stessa identica forma di un posto in cui sono stata una volta, se lo guardi dall’alto (la distanza ideale dal quale guardarlo). L’eccezione è che la poesia di Pessoa non è mai un posto orrendo.
L’inazione consola di ogni cosa che non è nostra. La poesia non è nostra il poeta finge, plasma, modella, simula, e il poeta non è nostro.
Di Pessoa mi piace il continuo isterico vertiginoso moltiplicarsi e l’ansia astrologica. Di Pessoa mi piace anche che un mattino ha visto le costole di un passante attraverso i vestiti e la pelle.
Mi sono accorto di tenere tra le mani un messaggio da consegnare, e quando ho detto che il foglio era bianco hanno riso di me. E ancora non so se hanno riso perché tutti i fogli sono bianchi o perché tutti i messaggi sono presumibili.
Niente di tutto questo riguarda la mia persona ma il fatto che ci abbia pensato vorrà pur dire qualcosa.
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Autopsicografia
Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che giunge a finger che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quelli che leggono ciò che scrive,
nel dolore letto ben sentono,
non i due che egli ha avuto,
ma solo quello che loro non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, a intrattenere la regione,
questo trenino a corda
che chiamiamo cuore.