Il Monte Analogo | Renè Daumal
Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche
“Ho paura della morte. Non di quello che ci si immagina della morte, perché questa paura è essa stessa immaginaria. Non della mia morte, la cui data sarà annotata nei registri dello stato civile. Ma di quella morte che subisco ogni istante, morte di quella voce che, dal fondo della mia infanzia, anche a me chiede: “cosa sono?” perché tutto, in noi e intorno a noi, sembra essere disposto a soffocare, ancora e per sempre. Quando questa voce non parla – e non parla spesso! – sono una carcassa vuota, un cadavere agitato. Ho paura che un giorno essa taccia per sempre; o che si svegli troppo tardi. […] I miei soli momenti buoni erano d’estate, quando riprendevo le scarpe chiodate, il sacco e la piccozza per andare in montagna.”
Domenica son salito a 3000 metri, al Rifugio degli Angeli, in val Grisenche, sul versante sud della val d’Aosta.
La val Grisenche è una valle abbandonata. Un tempo era completamente monopolizzata dall’Enel che la utilizzava come bacino idrico. Un’enorme vasca da bagno, grande quanto una valle intera, sbarrata da una diga colossale. Poi la montagna ha muggito e s’è scrollata di dosso la grande costruzione ingegneristica, scuotendo la testa contro l’uomo arraffone e prepotente, e le grandi multinazionali che violentano i territori. Alla montagna ci si è subito arresi: la diga è stata fatta saltare quasi completamente e il grande lago è stato svuotato, facendo riaffiorare i tetti e le vicende dei paesini abbandonati sotto il livello dell’acqua. Questa storia ha permesso alla valle di rimanere immacolata, con pochissime costruzioni al di là dei rifugi sparsi per le valli minori che ci confluiscono, e qualche resto di forte militare della prima Guerra.
Il rifugio degli Angeli è un’altra bella storia: molte imprese private si erano rifiutate di costruire un rifugio in un luogo così difficile da raggiungere da teleferiche e elicotteri, in una valle così isolata. Un gruppo di ragazzi, dell’Operazione Mato Grosso, si offrì di costruirlo. In due anni, dal 2004 al 2006, caricando in spalla mattoni da 11 chili su e giù per 700 metri di dislivello, il gruppo ha tirato su il rifugio, monumento alla forza di volontà.
Quando accetto le salite in montagna non mi aspetto mai sentimenti di paura, ma solo forza e spinta all’avventura. Eppure, tirando su lo zaino, ho un brivido. La montagna, più di qualsiasi altra condizione, fa emergere i propri difetti. Erri de Luca scrisse: “Che ci faccio in montagna? Più ci vado più mi accorgo di essere scarso. Conoscere non mi incoraggia, anzi mi pesa. L’esperienza accresciuta misura la mia insufficienza.” Gli enormi spazi silenziosi rivelano la nostra insignificanza. La montagna è sempre stata luogo di rivelazione, fin dalle dieci tavole dei comandamenti di Mosè. In quel caso era un popolo a prendere coscienza di sé, oggi, in mancanza di popoli, serve che ciascuno prenda coscienza di se stesso, nessuno lo farà per lui. La paura forse non è solo quella di perdere la lucidità a causa delle altezze, o di farsi trascinare giù a valle dalla neve, ma anche, come in tutte le grandi prove, di arrivare a conoscersi troppo in profondità.
Il Monte Analogo di Renè Daumal racconta il simbolo della montagna.
“Ordinavo simboli in due classi: quelli che soggiacciono soltanto a regole di Proporzione e quelli che, in più, soggiacciono a regole di Scala. La Proporzione concerne i rapporti tra le dimensioni del monumento, la Scala, i rapporti tra queste dimensioni e quelle del corpo umano. Prendete una cattedrale e fatemi una riduzione esatta di alcuni decimetri di altezza; questo oggetto comunicherà sempre, con il suo aspetto e le sue proporzioni, il senso intellettuale del monumento, anche se sarà necessario esaminarne alla lente certi particolari; ma non susciterà assolutamente più la stessa emozione, non provocherà più gli stessi atteggiamenti: non sarà più in Scala. Ciò che definisce la Scala della montagna simbolica per eccellenza – quella che io suggerivo di chiamare il Monte Analogo – è la sua inaccessibilità con i mezzi umani ordinari.
Sinai, Nebo, Himalaya, Olimpo: luoghi inaccessibili, legame fisico tra Terra e Cielo. Oggi tuttavia ogni luogo conosciuto è raggiungibile, lasciando gli uomini a brancolare in fantasie astratte. Il simbolo ha dovuto rifugiarsi in montagne del tutto mitiche, come il Meru degli Indiani. Ma il Meru, per prendere questo solo esempio, non può conservare il senso emozionante di via che unisce la Terra e il Cielo; può ancora significare il centro o l’asse del nostro sistema planetario, ma non più il mezzo per l’uomo di accedervi.
“Perché una montagna possa assumere il ruolo di Monte Analogo è necessario che la sua cima sia inaccessibile, ma la sua base accessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti. Deve essere unica e deve esistere geograficamente. La porta dell’invisibile deve essere visibile.”
Il libro è incompiuto, finisce a metà del quinto capitolo, lasciandoci solo 111 pagine di meraviglia immaginifica, fantasia ancora in gemma. L’autore fu seccato da una malattia ai polmoni.
L’unico libro al mondo che finisce con una virgola: al Cielo si arriva accettando le debolezze, lasciando che siano gli altri a parlare.
A un amico, che aveva compreso la sua condanna e voleva sapere come sarebbe finito il libro, confidò:
“Per finire, voglio dilungarmi particolarmente su una delle leggi del Monte Analogo: per raggiungere la cima, bisogna andare di rifugio in rifugio. Ma prima di lasciare un rifugio, si ha il dovere di preparare gli esseri che devono venire a occupare il posto che si lascia. E solo dopo averli preparati, si può salire più in alto. Per questo, prima di lanciarci verso un nuovo rifugio, abbiamo dovuto ridiscendere per trasmettere le nostre prime conoscenze ad altri ricercatori.”
Credere in un ideale non porta alla Verità. Si vive aiutando gli altri. Non sei tu a credere in Dio, è Dio che crede in te.
Grazie montagna
Per avermi dato lezioni di vita,
Perché faticando ho imparato a gustare il riposo,
Perché sudando ho imparato
Ad apprezzare un sorso di acqua fresca,
Perché stanco mi sono fermato
E ho potuto ammirare la meraviglia di un fiore,
La libertà di un volo di uccelli,
Respirare il profumo della semplicità;
Perché solo, immerso nel tuo silenzio,
Mi sono visto allo specchio e spaventato
Ho ammesso il mio bisogno di verità e amore,
Perché soffrendo ho assaporato
La gioia della vita percependo che le cose vere,
Quelle che portano alla felicità,
Si ottengono solo con fatica
E chi non sa soffrire mai potrà capire.
Battistino Bonali
Il Monte Analogo
Renè Daumal
Editions Gallimard Paris, 1952
Adelphi Edizioni, 1968