Sballo a 3000 metri

Salire al ghiacciaio è un cammino verso il centro, l’origine del mondo.

Me ne accorgo mentre metto un passo sopra l’altro sul ripido pendio d’erba che dura ore, lentamente immergendomi nelle altezze. Il ghiaccio sopra di noi, candido paradiso d’acqua immobile, ruggisce suoni antichi, movimenti interiori, lamenti di balena. E’ il ghiaccio che si scioglie, sudando bianchi torrenti, umori di vita, seme sparso verso la valle e la pianura. Ogni tanto, con ritmo celeste, fa risuonare i massici pietrosi che lo circondano, scaricando ghiaccio e roccia insieme. Rombo terrificante, esplosione spaziale, nascita di un universo.

Il ghiacciaio che abbiamo osservato per tutto questo tempo da lontano, dai tranquilli prati della valle fin dentro ai sogni notturni della pianura, è ora a pochi passi, ne possiamo respirare l’aria. Aria rarefatta, asciutta all’essenziale, odora di cielo. Siamo tornati dove eravamo partiti.

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Il sole ci brucia la testa. Impone il proprio raggio. Cerca di imprimere a caldo nella roccia l’uomo che osa salire così in alto, come l’artigiano ellenico su un vaso di terracotta cerca di imprimere i versi dell’omero. Tutto ci parla di eternità.

 

L’acqua che esce dal ghiacciaio,

tenuta ferma anni e anni

dalla meditazione dell’Himalaia,

sotto l’occhio delle stelle

senza parole si scioglie ai raggi del sole,

e porta in ogni direzione

un canto di felicità senza fine.

Da “Sfulingo”, Rabindranath Tagore

 

ghiacciaio

Siamo scesi, la gamba pesante è riuscita a scaricarci di nuovo a valle. Da solo, attraverso il ponte che supera il torrente. Il fresco del vapore che si alza dall’acqua che si schianta sulle rocce mi sbatte in faccia e mi sveglia dai pensieri ipnotici della discesa. Guardo il torrente che ho visto nascere, 1200 metri più in alto. Improvvisamente mi accorgo di essere io il torrente. Ecco cos’era quel senso di appartenenza e devozione al ghiacciaio. Il torrente sono io. I flutti scendono da me come arti infiniti, schiacciando sassi e accarezzando l’erba. Godono la frescura di un milione di alberi, passano sotto mille ponti, accolgono cento affluenti e diventano affluente, accettando di far parte di un fiume maggiore che li porterà al mare. Sento il fringuello che si abbevera e mi solletica dietro il braccio. Sento la calma della trota che si riposa sotto il sasso.

 

Nel cielo gli uccelli sono svaniti,

E ora anche l’ultima nuvola si dissolve.

Sediamo insieme, la montagna ed io,

Fino a che solo la montagna rimane.

Li Po

 

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Tutto scorre allo stesso modo da sempre; su quella roccia che guardo, l’acqua ha rintoccato lo stesso suono fin dal primo giorno del mondo. Eppure, da allora, ogni giorno passa altra acqua, acqua nuova, senza che io abbia fatto niente, semplicemente passa, e da’ da bere le mucche, e ispira i poeti. Viviamo in un mondo condannato alla bellezza: per quanto ci diamo da fare, siamo inutili, e non riusciremo a rendere il mondo più brutto, e non riusciremo a rendere il mondo più bello. Non esistono obiettivi da raggiungere, redenzioni da ottenere. Agiamo solo come irradiazione spontanea e benefica della bellezza eterna che è già data prima che noi siamo.

“.. come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

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