Il Gattopardo | Giuseppe Tomasi di Lampedusa
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.”
Il Gattopardo è uno di quei libri che ho sempre classificato come “mattone”, di quelli che ti rovinano le vacanze estive al liceo. Capite bene quindi la mia sorpresa quando, quest’estate, alla domanda: “che libro posso leggere per distrarmi un po’?” mia madre rispose: “Il Gattopardo!”. Per fortuna che il tedio delle giornate afose passate su libri ancora meno piacevoli mi ha costretto a dare a Tomasi di Lampedusa una chance, perché altrimenti mi sarei persa un romanzo incredibile, fresco, emozionante.
Il Gattopardo racconta le vicende del Principe di Salina e della sua famiglia ai tempi dello sbarco di Garibaldi in Sicilia.
L’aristocrazia locale si sente minacciata dalla rivoluzione “liberale”, e questo sconvolge il lento ritmo della vita siciliana, che fa da sfondo coloratissimo a tutto il romanzo: “Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio”.
Chi non si arrende davanti al declino inevitabile della nobiltà è Tancredi, il bello, bellissimo e affascinante nipote del Principe. La celebre, ma abusata e travisata, frase “affinché nulla cambi bisogna che tutto cambi” è pronunciata proprio da Tancredi, che capisce di dover cavalcare l’onda del cambiamento per mantenere un posto privilegiato nella nuova società che sta formandosi, e che quindi decide di unirsi alle forze garibaldine.
Nel giro di poco tempo la famiglia Salina vede sgretolarsi il proprio potere, il proprio prestigio, a favore di una nuova classe borghese sempre più importante, sia politicamente che socialmente.
Alla fin fine, nel Gattopardo non succede poi molto. È solo la storia di un impero alla fine della decadenza, ma raccontata in modo così appassionata da essere intrigante quanto un romanzo di avventura. La vividezza del romanzo è dovuta al fatto che Tomasi di Lampedusa ha preso spunto dalle vicende della propria famiglia, i Tomasi di Lampedusa appunto, un’importante famiglia siciliana all’alba del declino nel Risorgimento.
E poi c’è la storia d’amore tra Tancredi e Angelica. AH. Questi sono i capitoli più belli. Angelica, “bella ma vacua”, è la figlia di Don Calogero, sindaco di Donnafugata, il paesino che ospita la paradisiaca residenza estiva dei Salina. L’unione tra Tancredi, nobile (e bello, l’ho già detto?), e Angelica, borghese, è un altro esempio dei tempi che cambiano. Il palazzo di Donnafugata, con colori pastello e saloni ariosi, è il luogo ideale per una storia fatta di rincorse e abbracci rubati.
La trasposizione cinematografica del romanzo, ad opera di Luchino Visconti (1963) è uno dei pochi esempi in cui il film rende giustizia dal libro da cui è tratto. Atmosfere afose e bellissime ed un Alain Delon giovanissimo nei panni di Tancredi creano un piccolo capolavoro di malinconia. Malinconia è la parola più giusta per descrivere il sapore che Il Gattopardo ti lascia in bocca, una nostalgia lontana per un’eleganza persa, per un’epoca gloriosa in dirittura d’arrivo.
L’unica buona ragione per non leggere immediatamente questo libro è che il buon Tomasi di Lampedusa non ci ha lasciato altri capolavori. Il Gattopardo, pubblicato postumo, è l’unico romanzo di questo autore. Da una parte questo è un peccato, dall’altra non fa altro che farci languire ancora un po’, nella calura di un idilliaco pomeriggio siciliano.
“Rimasero estasiati dal panorama, della irruenza della luce; confessarono però che erano stati pietrificati osservando lo squallore, la vetustà, il sudiciume delle strade di accesso. Non spiegai loro che una cosa era derivata dall’altra, come ho tentato di fare a lei. Uno di loro, poi, mi chiese che cosa veramente venissero a fare, qui in Sicilia, quei volontari italiani. Vengono per insegnarci le buone creanze ma non lo potranno fare, perché noi siamo dèi.”
Titolo: Il Gattopardo
Autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Anno: 1958
Editore: Feltrinelli