Il Buena Vista Social Club di Wim Wenders
Solitamente quando sentiamo qualcuno parlare di un documentario, tutti noi abbiamo due tipi di immagini in mente:
- Immagine 1: Piero Angela, l’irriducibile. Si è impiantato nella nostra memoria attraverso anni e anni di Superquark, di videocassette e di filmati visti alle elementari. Chiunque sia cresciuto negli anni 90 non può non conoscerlo, era ancora più famoso di Gianluca Pagliuca. Spesso era accompagnato dal figlio Alberto, che io personalmente ricordo per un fermo immagine dove entrava in un gigante orecchio umano di plastica.
- Immagine 2: un leone che sbrana una gazzella (che evidentemente, poverina, quella mattina non si è svegliata abbastanza presto). Oppure qualsivoglia immagine proveniente dal mondo animale e potenzialmente in grado di turbare il sonno di un bambino che dal vivo non ha mai visto neanche una mucca.
Ecco, accantoniamo per un attimo la famiglia Angela e la savana, e parliamo invece di un documentario di tutt’altro genere. No, non uno di quelli sull’espansione dell’universo o la nascita di una stella. Qui si parla di musica, e di Cuba. La musica cubana degli anni precedenti la salita al potere di Fidel Castro, la musica da narcos ispanici, come la definisce la nostra Bice (leggete qui per farvi una cultura sul Cuban Jazz).
Sto parlando di Buena Vista Social Club, film documentario diretto da Wim Wenders, regista tedesco che spesso ha fatto incursione in questo genere (forse ricorderete il bellissimo e più recente Il sale della Terra.).
Il titolo del film è preso in prestito dall’omonimo gruppo jazz cubano, protagonista della storia, che a sua volta deve il nome a un famoso locale dell’Avana, ritrovo di musicisti e neri durante il periodo della dittatura di Batista.
La storia è questa: dopo la chiusura del Buena Vista Social Club, gran parte degli artisti che vi suonavano sono stati dimenticati, finendo a lucidare scarpe o a rollare sigari Montecristo. Solo negli anni ’90, grazie all’iniziativa di alcuni musicisti e produttori tra cui l’americano Ry Cooder, il Buena Vista Social Club è stato ricostruito, questa volta non come locale ma come gruppo jazz. Si dà il caso poi che Ry Cooder, tornato da Cuba, abbia collaborato con Wim Wenders per la colonna sonora del film Crimini Invisibili, e, tra una cosa e l’altra, gli abbia fatto ascoltare le registrazioni del Buena Vista Social Club. Da cosa nasce cosa et voilà: Wenders va all’Avana e due anni dopo esce il film che tanto ha contribuito al successo del gruppo.
Facendo un paio di conti capirete anche voi che sì, i musicisti del Buena Vista che vediamo nel documentario potrebbero essere i vostri nonni. Età media: 80 anni. Eppure, passatemi la metafora, spaccano i culi.
Il chitarrista Compay Segundo, 92enne all’epoca del film, ci regala anche il perfetto rimedio contro la sbornia, la zuppa nera: “metti a friggere un collo di pollo, quando non c’è più sangue aggiungi aglio tagliuzzato. È così che mi tengo in forma”. Provate voi e poi fatemi sapere.
La ricetta della zuppa nera è una delle prime battute del film, con cui Wim Wenders ci introduce al personaggio. La scelta stilistica è questa, ed è una scelta vincente: lasciar parlare i protagonisti liberamente davanti alla telecamera, da soli o con qualcun altro, a Cuba, per le vie dell’Avana, davanti a vecchi palazzi colorati con l’intonaco scrostato, con sullo sfondo automobili che forse da noi sarebbero considerate d’epoca, ma lì sono solo vecchie, bambini che giocano per la strada e la vita che scorre lenta e languida sotto il sole. Sembra quasi di respirarla, l’afa di Cuba.
Wenders sa come enfatizzare il contesto cubano senza risultare melenso: sceglie di montare il film alternando i momenti in cui gli artisti si raccontano alle riprese delle loro esibizioni in giro per il mondo, ad Amsterdam prima e al Carnagie Hall di New York dopo. In questo modo conosciamo uno per volta tutti i protagonisti, vedendoli prima nella loro città, nelle loro case, poi subito dopo sul palco di un grande teatro. Lo stacco è impressionante, ma non si percepisce uno strappo narrativo perché la musica fa da collante perfetto, trasportando l’aria di Cuba in qualsiasi teatro.
E la musica è anche il collante che unisce i membri del Club, che, un po’ lo intuiamo, un po’ ci viene raccontato da loro stessi, hanno alle spalle storie diverse.La bravura di Wenders è ancora una volta quella di raccontare tutta l’umanità presente in questa storia, senza però svelarci tutte le storie di chi l’ha vissuta.
Il suo non è un documentario che vuole spiegarci come, dove e perché. È più simile a una fotografia. Una vecchia fotografia ritrovata per caso in un cassetto, dove è ritratto un gruppo di vecchietti di cui non sappiamo assolutamente nulla, se non che hanno con sé degli strumenti musicali. Ma il loro sguardo parla, e ci racconta una storia.
Titolo originale: Buena Vista Social Club
Regia: Wim Wenders
Anno: 1998
Cast: Ry Cooder, Ibrahim Ferrer, Compay Segundo, Omara Portuondo, Rubén Gonzales, Eliades Ochoa, Orlando Lopez, Barbarito Torres, Manuel Mirabal, Amadito Valdés