L'unica Bibbia da tenere sul comodino

– No ma ti pare? Tre ore per uscire da qui e trovare una minuscola navetta da litigare con gli abitanti dell’isola di Lost che vogliono tornare a casa prima di morire? Ma siamo impazziti? Co ‘sto caldo?
– Basta Manu, ho deciso: niente più festival. Può scendere Cristo, io non ci vado.

NIENTE. PIÙ. FESTIVAL.

Eccolo, il punto di rottura. O almeno così credevo. L’amico che si sarebbe accollato anche il festival più sconosciuto di ventordici ore nella steppa russa (con headliner Orietta Berti che un giorno si sveglia e decide di dare alla sua musica una sfumatura death metal, e mette su il suo nuovo gruppo, i Finché La Barca La Spinge Satana – così), quell’amico, dice basta. Niente più festival, mi sono rotto il cazzo, non ci vengo più, non c’ho voglia, VOGLIO ANDARE AD UN CONCERTO CHE SIA UNO. CHE DURI TRE ORE, CERTO, MA CHE SIA UNO.

C’ha ragione, raga.
Buttiamo giù la maschera. I FESTIVAL SONO UNA RETTOSCOPIA A SORPRESA.

Basta, finiamola di fingere che sia tutto easy, che c’abbiamo il fisico, che riusciamo a farci viaggi interminabili per restare poi ore sotto il sole o la pioggia – ovviamente in piedi – dalle 14 alle 6 del mattino per quei gruppi che “Oh unica data in Italia eh, non torniamo più, poi ci vedete col binocolo, ci sognate, il giorno in cui torneremo voi sarete già malati d’Alzheimer e col cazzo che potrete venire al nostro concerto AHAH merde!”; e tu corri a comprare il biglietto, dai ce la faccio, in fondo cosa vuoi che sia, l’ho fatto mille volte.

Ecco, l’hai fatto mille volte. E NON HAI IMPARATO NIENTE.
Lo scrivo ma in realtà lo sto dicendo a me stessa: ma perché ti ostini? Perché? Tanto lo sai come va a finire, prendi sti biglietti ipercostosi e poi lo stesso gruppo de “l’unica data italiana gente”, dopo il festival magicamente ha date in tutta Italia, pare ami salutare le nonne di tutti in ogni paesello, te lo ritrovi pure alla sagra della carpa di Cappelle Sul Tavo (di cui non ho info, quindi smettetela di chiamarmi per prenotare). Eddai.

E comunque non è solo una questione di tempi e di distanze. Io credo di non sopportare più gli esseri umani. Credo. No ok ne sono abbastanza sicura. La fauna che popola i festival è quella della peggior specie: un bestiario di esseri partoriti per sbaglio, con l’unico scopo nella vita di succhiare l’anima a te che poveretto volevi solo sentire musica, pensa che pirla. Li hai incontrati mille volte, ti hanno tolto un pezzetto di vita che non tornerà mai più indietro, ma tu non demordi, perseveri nella sofferenza. Masochista.

L’UBRIACO MOLESTO

È il mio prefe, non c’è niente da fare. Parte con un paio di birre di riscaldamento, poi diventano tre, poi la quarta “così bevo più che posso, faccio la pipì e poi non mi scrosto dal mio posto. Geniale, no?”. NO AMORE MIO. Puntualmente sbronzo durante i gruppi in apertura, coinvolge tutti in cori esaltati da curva sud, si diverte, ride, è anche simpatico, fino a quando non inizia a ruttare tutto l’alfabeto con il suo alito di morte. Alle 21 inizia a cedere fisicamente e psicologicamente: dopo averti parlato della ex che sarebbe dovuta andare a questo festival con lui e invece ora convive con l’istruttore di Zumba, vedi i suoi occhi e la sua testa girarsi come la bimba di Trainspotting, e ai frequenti “oh ma stai bene?” dei suoi amici, risponde sempre “una bomba” et similia. Bomba che scoppierà all’arrivo dell’headliner sul palco, l’unico che lui voleva vedere. Finisce così in coma etilico nella zona di soccorso, dove tra una flebo e l’altra si sveglierà a concerto finito, con i volontari del Pronto Soccorso che durante la sua degenza avevano scommesso quei 5/10 euro sull’orario del suo risveglio e iniziano a pagare.

(Un saluto al sardo del Flippaut Alternative Reload del 2011. Gli Strokes sono stati bellissimi senza il tuo alito di Montenegro sotto il sole di Luglio. Spero che il coma etilico ti abbia temprato, nel corpo e nello spirito. Baci).

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LO SQUATTER

“Oh ci stavo io. No qui ci sono i miei amici. No qui c’è il mio cane. E comunque sta arrivando la mia fidanzata quindi se t’allarghi n’attimo”. CERTO, VUOI PIANTARE UN OMBRELLONE E METTERE DUE SDRAIO?

Questo è stronzo, ma di brutto. Piazza il suo telo mare 8×8, e tu devi allontanarti – oh ma che fai lo calpesti? Si sporca; sì, perché a quanto pare secondo la sua teoria, una volta messo il telo il pezzo di terreno è suo, ovvio. Lui stava lì e lì rimane, con la famiglia, anzi fai largo un attimo che arriva la nonna con la parmigiana. È sua, la terra sotto il suo telo è di sua proprietà, l’ha affittata. E pretende di rimanere così dalla mattina fino al giorno dopo, per tuuutto il concerto lui sarà lì: a spostare la sabbia che gli finisce sul telo; a stenderlo meglio, ché gli stronzi passano e gli fanno la pieghetta all’angolino – devi ringraziare i vecchi e nuovi dèi che non gli abbiano permesso di entrare con il ferro da stiro. E s’incazza, ohhh se s’incazza. A quel punto tu puoi fare solo una cosa: andare il più lontano possibile (non prima di avergli sporcato quel cazzo di telo con la birra, ti prego).

LA COPPIA

Questi sono due, in teoria. In pratica sono un ammasso di roba schifosa tipo le manine appiccicose delle patatine (ve le ricordate? No? Oh ma quanti anni avete? A CHI STO SCRIVENDO); sì perché loro sono innamorati eh, voi non potete capire, non avete un cuore. Loro devono fare tutto il concerto incollati a limonare, quasi che se t’annoi in qualche punto morto dell’evento puoi tirare fuori un bel blocco da disegno e passare il tempo a disegnare con anatomica perfezione le loro tonsille. Devono farsi le foto, devono cantare guardandosi negli occhi, devono dondolare abbracciati. MA COMUNQUE INCOLLÀTI A TE. Poi lei ad un certo punto si stanca di stare in piedi, e lui deve fare spazio per farla sedere; poi lei ha fame, e lui va a prenderle da mangiare; poi lei ha ovviamente sete, e lui va a prenderle da bere – AMICO, AVESSI PORTATO TUA MADRE SAREBBE STATO MEGLIO, le avrei chiesto pure due consigli sulle camicie che faccio proprio fatica a smacchiare. E poi, ovviamente, devono parlare dei loro problemi, litigando incollati a te che tra un po’ se non si scrostano ti senti pure in dovere di dargli un paio di consigli. Il primo fra tutti? SE DOVETE LITIGA’ STATE A CASA, PER ZEUS.

IL POGATORE

Instancabile zompettatore violento, perennemente sotto cocaina (si fa per dire) il pogatore non sente nemmeno la musica, ha un solo scopo: farsi e farti male. Poco importa se il concerto sia di Celine Dion, lui DEVE POGA’. E mica si sposta in mezzo agli altri della sua specie, no eh. Lui deve stare vicino a te; e nonostante tu sia alta un mezzo e mezzo e faccia 50 chili bagnata, in un punto dove un cazzo di nessuno sta pogando, lui deve farlo, anche da solo, è un bisogno viscerale che nonostante i 40 anni e il concerto di Glen Hansard, lui deve soddisfare. Per gli Umpa Lumpa come me: se non potete spostarvi infilate un ditino nei fianchetti, si sposterà. O offritegli da bere. Un pogatore è solo un romantico che non ha mai smesso di sognare, magari ha solo bisogno di una birra e una pacca sulla spalla per dimenticare i problemi di cuore. Ah, l’amour.

LA FIGA

No, non intesa come come l’apparato riproduttivo di noi donnini, nemmeno come essere oggettivamente dotato di beltade; in questo caso parliamo di figachevuolesentirsifigaetuladeviammirareenontoccare. LA FIGA DI LEGNO.

Posto il fatto che io non capisco in quale barbaro angolino della sua mente si annidi l’idea che un festival di musica possa essere l’ambiente per lei, decide che non può mancare – o probabilmente finite le sagre in cui viene eletta Miss Pappardelle al cinghiale si annoia, e decide di portare la sua aura legnosa in altri luoghi dove ritiene possa essere apprezzata ed ammirata. A quel punto, poco importa il prezzo del biglietto o il genere musicale del festival, c’è una sola cosa da fare: preparare l’outfit da Porachella Festival. Il kit è semplice, lo conosciamo tutti. Shorts inguinali di jeans ovviamente strappati, gilet in macramè ricavato facendo due buchi al centrino sul tavolino della sala da pranzo de nonna, Converse (di solito bianche) e, last but not least, LA CORONCINA DI FIORI. Barbie Hippie ma con contouring che nemmeno le Drag Queen (per i maschietti: il contouring è quella roba in faccia per cui voi credete che la tipa sia figa, poi la mattina si sveglia e vi lascia otto chili di fondotinta e le ciglia sul cuscino e somiglia pericolosamente a Pardo dopo una nottata alcolica con Tommasone Paradiso, per intenderci).

Passerà tutto il tempo a fare storie su Instagram e a postare selfie, e non seguirà nemmeno mezzo concerto. Un consiglio (stavolta alle FDL): gioie mie fatate, volete fare una cosa saggia? Non ci andate ai festival. Vi acchittate, vi fate un paio di selfie e mentite spudoratamente, tanto non se ne accorge nessuno. Noi non vi dobbiamo sopportare, voi non spendete soldi inutili per robe che non vi interessano. Mettete da parte ‘sti 60 euro e andate da Kiko, ché ho l’impressione che a voi il fondotinta finisca in poco tempo. Un abbraccio.

L’UOMO BICENTENARIO

Smartphone, IPad, Gopro, pure il pacemaker del nonno, ché non si sa mai. Passa tutto il cazzo di concerto con le mani alzate per reggere quel citofono di telefono che ha comprato in ventordicimila comode rate mensili – con tanto di batteria di pentole portata a casa da Mastrota. Lui non guarda il palco, guarda lo schermo del telefono, non gli interessa deve registrare TUTTO. Ovviamente davanti alla tua faccia. Chiaro, limpido, cristallino.

Ho due domande.
Ma come fanno a non farti male le braccia che sono 4 ore che non le abbassi, mia divinità Jessica Fletcher? E – questa è la domanda fondamentale – MI PUOI SPIEGARE PERCHÉ IO HO IL TELEFONO SCARICO DOPO MEZZ’ORA E NEMMENO LO GUARDO E TU NO? CHE C’HAI I CONIGLI DELLA DURACELL CHE TI PEDALANO NELLA COSCIENZA? Risp sul mio se leggi, grazie.

Ecco, questo è più o meno il bignamino del Bestiario dei Festival (mi fermo che la gastrite poi si accentua), quello che dovremmo rileggere ogni volta che pensiamo anche solo lontanamente all’idea di andare all’ennesimo festival. Ma sapete una cosa? Non servirà a niente, perché io ho appena passato due ore a lamentarmi e sto già sognando i biglietti del Firenze Rocks, a sto giro ci sono i Cure. Oh, hanno detto che è l’unica data italiana eh.

ROBERTO ASPETTAMI, CI SCAMBIAMO I ROSSETTI.

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