I vivi e i morti stanno bene | Andrea Gentile

I vivi e i morti stanno bene | Andrea Gentile

Italia è perfettamente adulta, adesso. Ha l’età ideale. Certo, crede ancora alle fiabe, ma è indubitabile che siano le fiabe i luoghi dove si apprendono le necessarie regole della vita. Quanti mostri generano mostri che generano mostri. Mica in eterno. “Pensiamo a ciò che accade come pieno di significato, ma lustro dopo lustro va via un po’ di senso, fino all’abisso. E tra l’abisso e il candore non c’è alcuna differenza”.

Non per mettervi ansia da prestazione – non sono egoista, è che l’ansia è un self pleasure che concedo davvero solo a me stessa, ripetutamente – ma dopo una delle mie ponderate riflessioni antropologico-cultural-scientifiche della durata di 4,57 secondi abbondanti, quelli che impiego per raggiungere la sala fotocopie sincronizzando i miei passi al più rapido degli eye-rolling umanamente riproducibili, credo di essere giunta all’epifanica conclusione che: siamo ufficialmente, senza alcun rischio di peccare di superbia, il risultato dell’evoluzione massima della specie umana raggiunta finora. Bene. Lo saremmo anche se non mi fossi soffermata a pensarci, totalmente ignari ma lo saremmo comunque, ma così fa più impressione. Senti sulla schiena proprio un peso secolare di responsabilità e aspettative in parte tradite che ti fa vacillare pericolosamente le ginocchia.

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Ho un calo di zuccheri, arranco verso la macchinetta e a seguito di qualsiasi combinazione numerica decida di schiacciare verrà sputato fuori un composto industriale contenente almeno 13 ingredienti che non so assolutamente pronunciare e che finirà per incrostarmi irreparabilmente tutte le arterie, prima o poi. Le papille gustative si consolano in fretta e ora che è apparentemente tutto finito – per il bene di tutti – andrei anche a vomitare tutto l’E452 che ho inglobato, se solo non avessi repulsione per i bagni pubblici. Anche questo mi fa pensare che qualcosa – nel lungo tragitto fino a qui – sia andato dannatamente storto.

C’è tutto. Dentro di lui, pensa, ci sono: catene montuose.

Chissà cosa si aspettavano dai noi. Spero le aspettative non fossero troppo alte. Penso a chi fantasticasse l’arrivo di organismi bionici senzienti, onniscienti e magari, per i più ottimisti, in grado di decifrare in tempi un po’ meno che apocalittici le procedure di pronto intervento in caso dell’inevitabile inceppamento della carta nella fotocopiatrice di cui sopra. Invece, ops!, ci sono io. Il massimo che si è potuto fare sono io. Questo un po’ mi consola, mi lusinga, è qualcosa da sbandierare quando non si sa come rompere il ghiaccio alle feste – che momenti orrendi – ma un po’ mi sento comunque malissimo non sapendo quanto tempo abbiamo a disposizione per migliorarci perché se il massimo è questo, insomma, non ci siamo, scusate.

Bene.

Coloriamo i nostri volti con le matite che usiamo per la corrispondenza.

Partendo da qui ho deciso di fare un passo indietro. Trovare le falle e metterci una pietra sopra, stando comunque attenta a non ripassarci mai più un’altra volta, dopo aver capito come siano andate le cose. Impresa titanica e pericolosamente ottimistica se vista su larga scala.

Inizio dal mio nucleo familiare. All’inizio procede tutto bene ma ad un certo punto neanche troppo lontano, niente, sono arrivata all’interminabile aneddotica della trisavola da parte di madre e mi sono stancata perché la raffinata arte del cazzeggio compulsivo ha sempre la meglio su ogni mio imbarazzante – seppur con nobilissimi intenti iniziali, pieni di buone intenzioni – avvicinamento alla ricerca e poi mi distraggo troppo non sono metodica mi annoio e poi c’erano tante di quelle falle in una sola discendenza che davvero non sapevo in quale buca gettarmi assicurandomi di essermi riempita prima le tasche di sassi pesantissimi per non riemergere più quindi nulla. Ho deciso che vado avanti così come niente fosse insomma chi sono io per contraddire questo passaggio di fiaccola evolutivo nel quale mi sono trovata a percorso ampiamente iniziato nella mia ininfluente minuscolaggine e non so neanche bene perché. Passerò inosservata rasentando i muri come ho fatto grossomodo finora ed andrà tutto bene, alla grande.

La distrazione non è una modalità di lavoro consigliabile. Si fanno grossi errori. Quando si è distratti si sta in uno stato che non è vita e non è morte, ma è qualcosa di più. Questo è il problema.

Di questo accenno di rimaneggiamento al mio albero genealogico mi è rimasta però in sospeso una cosa sulla quale non avevo mai sufficientemente riflettuto (che strano): la toponomastica. Credo di essere in buona compagnia nell’avere una genealogia itinerante grossomodo per tutta la nazione, nel corso dei decenni, dunque mi sono chiesta:

Sappiamo qualcosa dei posti da dove veniamo e di quelli dove viviamo?

Probabilmente la maggior parte delle persone sì e io sto cadendo dalla pianta con troppo ritardo, ma io arrivo sempre molto dopo. Però arrivo.

Masserie di Cristo: qua i morti devono fare la bella vita, e i vivi una vita d’inferno.

The Maypole scene from The Wicker Man, by Robin Hardy (1973).

Per questioni di confini condivisi e superati, la genealogia toponomastica mi ha portata da Andrea Gentile. Io non so cosa lui avesse in mente, ma “I vivi e i morti” è, a mio avviso, un viaggio nel passato seguendo il percorso a ritroso delle proprie origini, le proprie tradizioni, le proprie scaramanzie, i propri riti, la propria magia, i propri segreti, le proprie prigioni, le proprie battaglie, le proprie vittorie, le proprie sconfitte, le proprie gioie, le proprie mancanze, le proprie lettere (anche quelle verso se stessi), le proprie lotte. E grande protagonista, prima dei morti, prima dei vivi, è il luogo, l’asciutta materialità che accoglie le numerose schiere di entrambe le fazioni in eterna rivalità e segreta cooperazione. Come una madre che perdona sempre tutto, ma solo dopo averti dato una giusta lezione che non ti conviene dimenticare.

La terra vera, quella autentica, è questa: buia, selvaggia e malandrina.

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Masserie di Cristo, pendici del monte Capraro, Isernia, Molise. In un passato non necessariamente precisato si incontrano le storie di personaggi eterogenei.  Una bambina è scomparsa in un luogo in cui vivi e morti si confondono, non essendo né l’una né l’altra cosa, si scambiano di posto, scompaiono, riappaiono (non sappiamo con certezza se quelli che ritornano siano effettivamente gli stessi che se ne sono andati), ostacolando e aiutando la ricerca in un infernale Sud magico dove genitori puniscono i figli che puniscono i genitori, carcerieri rinchiudono prigionieri e a loro volta sono rinchiusi nelle loro stesse prigioni sotterranee perché, questo romanzo, è un cerchio infinito dove qualsiasi azione venga compiuta, è destinata a ripetersi per sempre. Il romanzo è un cerchio a circuito chiuso e chi compie l’azione, la subisce ciclicamente. Così come il passato agisce sempre sul presente. Il racconto non finisce mai di raccontarsi, di tramandarsi.

Masserie di Cristo: piogge, viscere della terra, buio. Non c’è alcuna possibilità di redenzione. Le costellazioni esistono. Gli uomini sono mortali e ciò che desiderano non è alla portata dei mortali.

Tra orazione e fiaba in questa Natura che è dea, la Società del libero Pensiero (elemento estremamente controverso all’interno della narrazione, con i suoi tribunali inquisitori e le sue torture che non lasciano scampo) tesse le trame del futuro della collettività perché la vita è fatta di amicizie, zone d’ombra, monitoraggi. 

In una narrazione che si divide equamente tra resoconto antropologico, racconto fiabesco e film horror, compreso di sangue e dita mozzate a comporre scritte che, anch’esse, si ripetono continuamente.

Non è dato sapersi se l’eterna ripetizione sia sintomo di assenza di memoria o impossibilità di scelta. Spesso è inconsapevole.

Il viaggio è comunque sconsigliato a chi non abbia più che validi motivi.

Grazie a te, ci annoiamo sempre, nei secoli dei secoli.

“I vivi e i morti” non è un romanzo che trova facili paragoni, ma credo si possano trovare qui atmosfere simili per superare l’abbandono di fine lettura o per calarsi nell’atmosfera del romanzo, in un clima di gotico italiano (con special guest: Kafka), prima della sua lettura:

“Fantasmagonia”, Michele Mari

“Il demone meridiano”, Andrea Morstabilini

“La pietra Lunare”, Tommaso Landolfi

“Fiabe italiane”, Italo Calvino

– “La tana”, Franz Kafka

“Sud e magia”, Ernesto de Martino

Titolo | I vivi e i morti

Autore | Andrea Gentile

Editore | Minimum Fax

Anno | 2018

Pagine | 549

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