I saw the tv glow e quella cosa sotto la pelle
Non è il film migliore dell’anno; non è neppure un film perfetto. Ma I saw the tv glow è un film che mi è rimasto sotto la pelle, come una sensazione o un ricordo che, quando viene elicitato da stimoli esterni a volte non del tutto coscienti, provoca un piccolo brivido tra la schiena e la nuca.
È un film strano, stratificato, a tratti criptico. La metafora principale viene abbastanza urlata in una delle prime inquadrature (ci torneremo), ma è solo il primo messaggio, quello più evidente. Siamo negli anni Novanta. Lontani dalla glorificazione patinata degli anni Ottanta in stile Stranger Things, gli anni Novanta sono una terra desolata di periferia.
L’apertura mentale delle città e del mondo moderno è lontana e se ti va male hai un padre violento, come Maddy, seconda protagonista del film, se ti va bene hai per padre il cantante dei Limp Bizkit drogato di televisione che ti vieta di guardare i programmi che lui ritiene “da femmine” (piccola nota: è davvero il cantante del Limb Bizkit a interpretare il pare del protagonista, non è una figura retorica per indicare generico pelato con la panza).
Il protagonista, Owen, trascina la sua esistenza di adolescente solitario, che si sente diverso senza neppure riuscire a capire bene questa diversità. Finché per caso non incontra Maddy; la vede mentre legge una guida agli episodi di una serie tv (esiste qualcosa di più anni novanta?) ed inizia a parlare con lei. È così che si appassiona a The Pink Opaque, la serie tv in questione, l’ossessione che li lega e li avvicina.
The Pink Opaque è quella serie tv che ti permette di staccare dalla realtà. Estetica fluo (pazzesca) e antagonisti presi pari pari dal video di Tonight Tonight degli Smashing Pumpkins. In particolare, il mastermind che manda i “mostri della settimana” si chiama Mr. Melancholy e vive nella luna. Il suo piano oscuro è imprigionare il mondo in una realtà melancolica e anestetizzata. Con questa serie i due protagonisti si estraniano da una realtà che non li accetta e che loro non accettano; nella realtà della serie televisiva, invece, si sentono compresi. Fino a che i piani si sovrappongono e la realtà appare meno solida della serie televisiva.
Hai mai avuto la sensazione che The Pink Opaque fosse più reale della realtà?
Perché tutti noi conosciamo la sensazione di estraneamento che abbiamo cercato in una forma di arte-realtà altra: che sia un libro, un album, un film o una serie tv. Una ricerca che porta ad isolarsi da una realtà tangibile che già ci isola, per abbracciare una realtà artistica confortevole, mettendosi davanti a uno schermo oppure infilandosi le cuffiette del walkman (siamo negli anni Novanta, ok?) nelle orecchie. L’isolamento diventa difesa, ma anche permette di fare parte di un gruppo di persone (vicine o distanti) che vivono la stessa situazione. È uno dei mestieri dell’arte, darci il conforto che la realtà ci nega. Come le protagoniste di The Pink Opaque, non serve essere vicini: basta sapere che qualcuno, da qualche parte, ti somiglia.
Per la mia generazione, a cui il film fa chiaro riferimento, uno dei capisaldi di questa sensazione è stata Buffy l’ammazzavampiri. Riscoperta negli ultimi anni, Buffy è stata la prima serie che ha fatto degli outcast e degli emarginati gli unici protagonisti; la prima serie a parlare agli sfigati e agli esclusi, con un linguaggio che oggi definiremmo inclusivo e che all’epoca era solo strano. Guardando I Saw The Tv Glow mi è tornato alla mente che mia madre a un certo punto (ero alle medie) mi aveva vietato Buffy, perché “guardavo troppi horror” (LOL ciao mamma). E ricordo benissimo quella sensazione di qualcosa di familiare che viene portato via. Forse per questo, sento il film così vicino. La stessa regista, Jane Schoenbrun, lo riporta come una delle fonti di ispirazione e come show che durante l’adolescenza l’ha aiutata ad accettarsi e ad affrontare il mondo.
Perché il film parla a tutti coloro che si sono almeno una volta sentiti diversi. Come dicevo all’inizio, la metafora principale viene presto svelata: Maddy è lesbica e lo ammette quasi subito nella narrazione, mentre Owen non sa cosa sia né cosa gli piaccia davvero, ma il fatto che nella primissima scena posi sotto una gigantesca bandiera coi colori dell’orgoglio trans, qualche indizio ce lo regala. Questo, però, è solo il primo messaggio. Perché il film parla a chiunque si sia sentito diverso, durante l’adolescenza o dopo, e abbia trovato conforto in un prodotto di fantasia.
A un certo punto, però, The Pink Opaque viene cancellata con un cliffhanger incredibile, e nella stessa notte Maddy se ne va. Propone a Owen di andare con lei, ma lui non se la sente. Rimane il rewatch della serie tv, quando il ragazzo si sente solo, mentre la sua vita prosegue nella maniera più normale possibile (dall’esterno).
Passano gli anni e Maddy ricompare, quasi magicamente, portando con sé una verità sconvolgente.
Time is never time at all
You can never ever leave
Without leaving a piece of youth
Cantano gli Smashing Pumpkins e proprio a questo punto la canzone si sente brevemente, in una cover distorta, in sottofondo. Maddy se ne è andata, lasciando un pezzo di sé e andando incontro a grandi difficoltà (e forse, alla perdita della sanità mentale). Ma anche Owen ha rinunciato a pezzi di se stesso, per portare avanti una vita “normale” di lavoro, famiglia, apparenza, incapace di accettarsi per com’è. La regista Jane Schoenbrun, trans e non-binary, non si schiera: non esistono scelte corrette; entrambe le scelte comportano una rinuncia gravosa.
È qui che i piani della realtà e della finzione si sovrappongono in maniera quasi violenta. Forse il mondo in cui viviamo, dice Maddy, è proprio quel mondo anestetizzato in cui Mr. Melancholy ha voluto rinchiudere le protagoniste di The Pink Opaque. Forse serve un atto estremo per liberarle e liberarsi, per accettarsi e combattere il malvagio Mr. Melancholy, che piano piano diventa metafora di tutto ciò che ci limita – la società, la famiglia, i pregiudizi, noi stessi.
Believe
That life can change
That you’re not stuck in vain
We’re not the same, we’re different
(Sempre gli Smashing Pumpinks, per chi se lo fosse chiesto)
Sembra dire Maddy; ma il sacrifico richiesto da Owen è enorme.
È in questa seconda parte che il film diventa spiccatamente lynchiano. E per una volta, l’influenza del maestro non è usata maldestramente (non è facile fare le sequenze oniriche come Lynch, il discrimine fra il capolavoro ed il grottesco cringe è sottilissimo. My two cents: la prima lezione di ogni scuola di cinema dovrebbe essere “Voi non siete Lynch, questo deve essere il vostro mantra”). Alcune sequenze di sovrapposizione della realtà ricordano molto i film di Lynch, così come anche un certo gusto nella messa in scena: la rivelazione di Maddy viene data in un bar in cui suona una band e viene lasciato tutto lo spazio cinematografico necessario per far vedere e sentire la musica, proprio come nell’ultima stagione di Twin Peaks, per capirci (e non è un caso).
Maddy e Owen sono due facce della stessa medaglia, della stessa solitudine; ma affrontata in maniera opposta. Senza giudizio, entrambe le strade comportano dei sacrifici. Per Owen, interpretato da un bravissimo Justice Smith invecchiato o ringiovanito a piacimento, capace di lavorare con la voce in maniera perfetta, è proprio il tempo perso, accelerato, non trattenuto nelle mani, di un’esistenza vissuta a metà. Un’esistenza di nostalgia, dove ad un certo punto addirittura The Pink Opaque (adesso in streaming) perde la capacità di essere salvifico.
Eppure, qualcosa sotto la pelle rimane. Non serve aver vissuto le difficoltà dell’affermazione sessuale negli anni ’90 per sentirlo; basta aver vissuto la difficoltà di sentirsi diverso, ad un tratto della vita. E qualcuno può affermare di non essercisi mai sentito?
Titolo | I saw the tv glow (Ho visto la TV brillare)
Regia | Jane Schoenbrun
Anno | 2024