“Io vi guardavo ammutolita,
intenerita da voi,
cari cuccioli della mia specie,
e poi anche disgustata da voi
che eravate lì inermi a un palmo dal
mio naso.”
Mariangela Gualtieri
Con tutta la forza della mia voce rotta – il vestito azzurro impregnato del sudore acre di un giugno impietoso – mi preparavo a dire a Paolo Giordano, venuto in libreria per presentare il suo ultimo libro: – Tu sei il prenditore nella segale di Salinger.
Cominciava appena l’estate ma già sapevo che “Divorare il cielo” sarebbe stato per me il libro più bello dell’anno: da allora sono passati sei mesi eppure solo ora che dicembre si impenna, solo ora che sono tornata in libreria per comprarne una copia da regalare a Natale, mi sento pronta a parlare di lei, di questa storia che appartiene all’estate.
“Mi immagino sempre tutti questi ragazzi che fanno una partita in quell’immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli.” (Il giovane Holden, J.D. Salinger)
Teresa ha quattordici anni e vive a Torino. Durante l’estate va a stare dalla nonna paterna a Speziale, nel Brindisino, in una specie di masseria di quelle che solo la fantasia della campagna pugliese più tipica riesce a disegnare.
“Li vidi bagnarsi in piscina, di notte. Erano in tre ed erano molto giovani, poco più che bambini, come allora ero anch’io”: la scena di apertura del romanzo è un marchio a fuoco sulla fronte del lettore e, per Teresa, il punto di svolta definitiva di tutta la sua vita. Conoscerà Bern e gli altri ragazzi che abitano nella masseria confinante alla sua e insieme a loro trascorrerà i successivi vent’anni, tra abbandoni e rinconciliazioni. Con loro condividerà la vita di chi non accetta che il mondo sia tanto storto e ingiusto e perde la ragione inseguendo il sogno folle di cambiarlo.
Chi sono questi ragazzi? Sbandati, idealisti, teppisti, pazzi, sognatori: tutte queste cose insieme. Quando chiesi a Paolo Giordano perché fosse tanto ossessionato dall’adolescenza, lui rispose timidamente: – Forse in fondo sono ancora un immaturo, e davanti agli adulti, che hanno ormai imparato a costruire strategie, mi sento sempre a disagio. I ragazzi, invece…Loro sono ancora sbandati e idealisti.
Quando dico che per me è il prenditore nella segale intendo dire: qualcuno non più ragazzo ma non ancora adulto. Qualcuno nel limbo: che da un lato può capire i ragazzi perchè è capace di ricordare come ci si sentiva – spaventati e potentissimi al tempo stesso – ad essere adolescenti con tutta la vita davanti e che, dall’altro, già possiede strumenti maturi e consapevoli per raccontarli, i ragazzi, per osservarli con maggiore lucidità, un po’ dall’esterno, un po’ fuori fuoco.
“Divorare il cielo” è la storia più vera che uno scrittore possa inventarsi oggi: Paolo Giordano sembra essere esattamente al centro del Tempo. La ribellione dei giovani nei confronti di un mondo che li (e si) sta uccidendo; il rifiuto di valori dati che non condividono; la denuncia dello sbando con cui gli adulti si dimostrano del tutto impreparati ad accompagnarli verso la crescita, a proteggerli ed educarli: temi eterni, questi, da lui elaborati con estrema lucidità e consapevolezza di come essi si stiano manifestando oggi, nel mondo attuale.
Il profumo dei fichi d’India, i paesaggi di ulivi e tratturi, la lentezza dell’estate, Il barone rampante di Italo Calvino, il primo amore, l’idea di costituire una comune. Tutto concorre a sentire la storia di Bern come vera, molto più che plausibile, come qualcosa che il mondo di oggi potrebbe partorire: una perfetta storia-simbolo del tempo di oggi.
Paolo Giordano è il prenditore nella segale perché dà voce, porta in superficie, qualcosa che rischia d’essere smarrito nell’astio e nell’incomprensione tra le diverse generazioni. “Divorare il cielo” è un libro amaro e pieno di entusiasmo al tempo stesso: succede questo, secondo me, quando uno scrittore o una scrittrice ascoltano, ascoltano davvero, si avvicinano piano, con empatia trasmettono.
Forse con questo romanzo, alla fine, quelli salvati, quelli presi al volo nel campo di segale, non saranno i nostri ragazzi ma noi – gli adulti smemorati -, chissà che riusciamo a ricordarci che cosa voleva dire sognare di cambiare il mondo, di divorare il cielo, di rifiutare quello che non accettiamo, di dire: no, basta.
“Quando persi un po’ di terreno rispetto agli altri, sentii di sfuggita il commento di un uomo, senza distinguerne il volto. Pronunciò delle parole che mi sarebbero tornate alla mente molti mesi dopo, quando tutto stava ormai precipitando: – Poveracci, – disse, – Chissà cosa si sono messi in testa di dimostrare.”
Titolo | Divorare il cielo
Autore | Paolo Giordano
Casa editrice | Einaudi
Anno | 2018
Pagine | 431