I libri del 2021, secondo noi

I libri del 2021, secondo noi

Non è dicembre senza la nostra spremuta collettiva di menti per decidere quali sono i libri che ci hanno accompagnato in questo 2021.

Ci siamo dati tre semplici regole:

  1. Massimo 3 libri a testa (senza motivo).
  2. Devono essere pubblicati nel 2021.
  3. Devono esserci rimasti dentro e addosso.

Questo è il risultato. E siccome sappiamo che siete totalmente bombardati da liste, andiamo subito al sodo.
Ovviamente riteniamo, in un eccesso di umiltà, che questa sia la lista migliore in circolazione. Ça va sans dire.

E allora… che la lettura sia con voi, sotto l’albero e nel 2022.
Noi saremo sempre qui, pronti a scambiarci consigli con voi!

Yoga | Emmanuel Carrère

Passano nove mesi dalla pubblicazione dell’ultimo Emmanuel Carrère in Francia al suo arrivo nelle librerie italiane. E oggi che il ciclo di vita di un’opera sembra esaurirsi con la sua diffusione e la lettura di qualche opinione a riguardo, per molti Yoga è rimasto semplicemente il libro in cui Carrère, per la prima volta, mente.

Quello in cui, incurante di accordi legali, lo scrittore francese tira in ballo l’ex-moglie accampando presunte necessità di contestualizzazione. Ma sarebbe miope valutare queste trecento pagine usando come metro il rapporto percentuale tra verità e finzione.

Dentro a Yoga, fra le maglie della sua struttura sconnessa, non c’è solo il consueto ego ipertrofico: c’è la storia del progetto fallito di un libro “arguto e accattivante” sullo yoga trasformata in un pezzo di grande valore letterario. C’è la diagnosi di “disturbo bipolare di tipo II” con annessi ricovero al Saint-Anne di Parigi e sedute di elettroshock. C’è il periodo trascorso a Leros fra i rifugiati con Frederica, che per loro organizza un laboratorio di scrittura creativa.

E c’è, oltre al “cosa”, il “come”: slanci empatici e scatti superomistici, abissi maniacali, illuminazioni limpide come l’acqua (“è inquietante sentirti diagnosticare a quasi sessant’anni una malattia di cui hai sofferto per tutta la vita senza che nessuno l’abbia mai nominata”) e divagazioni che solo grazie al talento dell’autore non diventano mai pornografia del dolore (il bimbo che resta sordo, muto, cieco e paralizzato).

In Yoga le cose che scrive Carrère sono per sua stessa ammissione narcisistiche e vane, e per una volta siamo certi che siano anche parzialmente false; rivelano però un’umanità così sregolata e un desiderio così ardente di non cedere al buio, di “continuare a non morire”, da renderne la lettura un’esperienza significativa.

Beautiful world, where are you | Sally Rooney

Ci sono alcuni scrittori che sembrano costruire le trame dei propri romanzi sempre con gli stessi ingredienti, anno dopo anno, eppure definendo nuovi confini e strutture. È un po’ il caso di Sally Rooney, che con questo terzo romanzo sembra dar vita a una composizione della storia decisamente nuova senza dimenticarsi, però, il mood di Parlarne tra amici e Persone Normali: millennials che cercano la propria identità, che non sanno dare una definizione all’amore nonostante le varie esperienze, che non ritrovano nel lavoro che fanno i propri ideali.

In queste pagine, Alice ed Eileen si sentono delle scienziate che in un laboratorio vivisezionano attimi delle loro vite per la semplice volontà di farlo, con il desiderio di capire a fondo le cose ma senza mai volerlo davvero. Amano la scrittura, così tanto da scambiarsi lunghe email invece di telefonarsi, raccontando nelle loro missive digitali le rispettive storie d’amore o, per meglio dire, le loro relazioni complicate perché sembrano essere troppo ricche e snob per avere un lineare percorso di coppia.

La religione, la crisi climatica, la salute mentale, le sempre più visibili conseguenze del capitalismo sull’economia e sulle vite di ognuno di noi sono argomenti che vengono toccati e commentati ma mai davvero approfonditi tanto da chiederci se forse non siamo la generazione che più rimane ancorata al presente, senza cambiarlo, per paura di inventarsi un ennesimo futuro sbagliato.

Panorama | Dušan Šarotar

Non c’è anno che Keller non pubblichi almeno un titolo in cui il contenuto sappia prendere una forma audace e proprio per questo meritevole di segnalazione, in questa età di mezzo che adora gli orologi e non conosce il tempo. Nel 2020 era toccato all’esplosivo Milkman di Anna Burns guidarci tra le sinapsi spericolate di una ragazzina nella Belfast degli anni Settanta; oggi, invece, è la prosa di Panorama, altrettanto tortuosa, a creare una lingua che dà voce alla precaria frammentarietà della vita degli esuli.

È fiction senza sembrarlo, il libro dello sloveno Dušan Šarotar, oltre che uno splendido oggetto punteggiato di fotografie in bianco-e-nero. Nei suoi paragrafi interminabili e a volte completamente privi di punteggiatura, nelle sue parentesi liberamente associative, nella sua imprevedibile geolocalizzazione, seguiamo il peregrinare di uno scrittore in cerca di ispirazione – spesso in compagnia di Gjini, emigrato albanese di stanza a Galway.

Tutto è immobile e malinconico, in Panorama, perché tutto è sempre già successo per chi è costretto lontano da casa: l’unica azione possibile, per esistere di nuovo, sembra l’aggrapparsi ai ricordi di un tempo e un luogo in cui le cose accadevano.

Una “narrazione sullo svolgersi degli eventi” che mappa l’Europa e le sue fratture, sì, ma anche un periodare oceanico universale capace di raccontare l’enormità di qualunque sradicamento permanente: che sia al confine tra Polonia e Bielorussia o a un mare di distanza da qui.

Quel maledetto Vronskij | Claudio Piersanti

Un romanzo diverso da tutti quelli che circolano. Nel biglietto che accompagnava il regalo: ‘è una ventata di normalità e semplicità che è grandezza’. Ed è estremamente vero. ‘Quel maledetto Vronskij’ non è un libro che prendi in mano con facilità attraversando gli scaffali di una libreria. Non ha una copertina che colpisce. Ma è tutto dentro.

La storia è quella di un amore fatto di cose minime, di una vita insieme in cui non si perde la voglia di farsi felici fino a quando Giulia scompare all’improvviso lasciando solo un biglietto e Giovanni inizia a cercarla (anche) tra le sue convinzioni. Pescando da uno scaffale il volume di Anna Karenina, Giovanni si convince che sua moglie abbia trovato un altro, un maledetto Vronskij. E così, per strappi forti, come la vita, il romanzo e la ricerca procedono.

Una lettura che è un’immersione delicata e autentica.

Eclissica | Vinicio Capossela

Eclissica, quinto libro di Vinicio Capossela, è un misto tra autobiografia e diario di bordo. Capossela ripercorre la storia dei propri album a partire da Ovunque Proteggi, uscito nel 2005 quando lui aveva 40 anni (quasi a confermare la cesura con la sua forma antecedente al 2000 che tanto è evidente nella sua musica) e in ogni capitolo riversa le storie, gli aneddoti, le emozioni che ne hanno caratterizzato la creazione e i personaggi che l’hanno accompagnato nel viaggio: Marc Ribot, Christopher Wonder, il capitano Mallaby, Matalena e tanti altri.

Pur restando la scrittura zoppa di un autore che può risultare indigesto, Vinicio si dimostra estremamente versatile nel raccontare: si passa dal puro delirio Caposselliano ad analisi lucidissime di politica e società, da racconti di viaggi (forse la parte più riuscita del libro) ad approfondimenti musicali sui segreti di ogni canzone.

Alternando una narrazione lineare a flashback sul passato prossimo e anticipazioni su ciò che verrà, Vinicio riesce a tessere un quadro (astratto, per carità) sulla sua poetica che qualunque veterano della sua musica non potrà non voler leggere.

La canzone di Achille | Madeline Miller

Si può far appassionare ancora al mito greco? Sì. Si può dare la sensazione di stare leggendolo per la prima volta? Ancora sì.

Madeline Miller, scrittrice americana dottorata in lettere classiche, letteralmente ti trascina nella storia dell’amore tra Achille e Patroclo. Ti inchioda alla scoperta del sentimento. Alla nascita dell’affezione. Ai primi contatti fisici. Li senti sulla pelle: ne senti il dolore, ne senti il piacere, ne senti il distacco causato dagli eventi. L’approfondimento delle dinamiche familiari e caratteriali è sublime tanto quanto la scrittura.

È forse ‘Una vita come tante’ di H. Yanagihara, ma tra uomini e dei.

Il signore del bosco | Massimo Pericolo

Premessa: non c’è bisogno di essere fan del rapper per leggere e apprezzare queste pagine perché quello racchiuso in questo libro è un mix fra biografia, paura e desiderio di tutti noi di definire se stessi, a qualsiasi costo.

Fotografie dei vari tour, testi di canzoni e ricordi di un’infanzia difficile sono elementi che rendono questa lettura un percorso, un viaggio per aiutare Massimo Pericolo, ma anche ognuno di noi, a “comprendere chi sei quando non sai chi essere”. Il viaggio dall’altra parte del mondo per imparare l’arte del kung-fu, un modo più di altri per appianare l’ansia e fare i conti con uno status con cui non è facile fare pace: Tu non sai quanto cazzo costa essere poveri.

L’impaginazione di polaroid, scatti, screenshot di numeri pazzeschi raggiunti in poco tempo su YouTube rendono Il signore del bosco una storia vera, un urlo di rabbia seguito da un quasi sospiro di sollievo perché fra uno che ce la fa, che riesce a prendere il proprio destino e portarlo lontano dalla merda che può accadere in provincia, ce ne sono altri che invece rimangono là, ad aspettare una mano che li aiuti senza essere certi che arriverà.

L’unica persona nera nella stanza | N. Uyangoda

L’Italia partorisce figli illegittimi, non riconosciuti, negati. Sui giornali e in tv, nelle pieghe delle norme, in letteratura e in cabina elettorale, nel mondo del lavoro e della scuola, è sempre presente lo spazio vuoto della loro assenza. L’Italia non è un paese razzista ma.

Con una prosa snella, diretta, frutto di una efficace miscellanea di autobiografia e reportage di costume, Nadeesha Uyangoda conduce il nostro sguardo vergine sui luoghi quotidiani della discriminazione – sugli episodi di violenza razziale che si ripetono così continuativamente da diventare per noi come invisibili, ordinari, irrilevanti e sopportabili – e allo stesso tempo prova a ritagliare uno spazio pubblico per la voce dei giovani italiani ancora considerati, di fatto e di diritto, persone “di serie B”.

L’Italia non è un Paese razzista…fino a quando non ti accorgi che sei l’unica persona nera nella stanza oppure che non c’è nessuna persona nera nei programmi che guardi, nei libri che leggi, nelle istituzioni a cui ti affidi, nei posti che frequenti.

Il testo di Uyangoda è un piccolo e fondamentale tassello per comprendere più a fondo il nostro Paese, per provare a condurlo verso una nuova, urgentissima consapevolezza.

Cronache di Amebò | Valo

Amebò è un mondo coloratissimo, con un sound tutto suo e tantissimi problemi, come può succedere su ogni pianeta abitato. A differenza di quelli che conosciamo, però, questo luogo è la creazione di un dottore, il dottor Trap, che annoiato dalla solita vita alla C.I.A. (Cose Incredibilmente a Cazzo) decide di progettare dal nulla palazzi, gattoni, piante e un ricco pubblico di pseudo-umani pronti a vivere Amebò godendo di ogni suo angolo.

Le paure dell’animo più profondo vengono colorate da Valo per dare forma a personaggi assurdi e surreali, versioni degli stereotipi della nostra società portati all’estremo. Fra le fonti d’ispirazione della giovanni Valo potrebbe esserci Cappuccetto rosso o forse ancora Alice attraverso lo specchio ma poco importa capire il punto di partenza: l’arrivo è un mirabolante spazio folle, composto da diversissimi sketch che si alternano fra le tavole, dove tematiche importanti vengono trattate con la giusta dose di ilarità e simpatia senza mai essere banali.

Qui per approfondire.

Silenzio | Don DeLillo

Aspettavamo con grande trepidazione il nuovo romanzo di DeLillo, nato e cresciuto durante la pandemia. DeLillo non è mai stato interprete del suo tempo: ha anticipato il tempo di svariati anni, forse decenni. Nella sua letteratura vi è il seme della preveggenza, la capacità di osservare il corpo che sta nascendo dentro l’uovo del serpente (basti pensare a Cosmopolis che anticipa in maniera quasi dolorosa gli smottamenti economici di quasi 10 anni dopo).

Silenzio non fa difetto ed immagina un mondo che improvvisamente rimane senza la connessione che caratterizza il nostro tempo. Senza spiegazioni, tutti gli schermi rimangono muti, diventano specchi neri immobili. Rimane un’umanità rinchiusa e confusa, incapace di comprendere il cambiamento. Che passa dallo scrolling compulsivo sul telefono, allo scrolling compulsivo dentro di sé.

Superando il postumanesimo, DeLillo immagina che il singolo diventi trasmettitore di se stesso, perfettamente isolato dagli altri, capace solo di riprodurre con le sue azioni il device muto che gli sta davanti, esso stesso diventato device di una volontà altra e al di fuori di noi.
Spaventoso. (Ma l’edizione Einaudi è proprio bella).

Spatriati | Mario Desiati

L’hanno definito un “must” per comprendere la generazione dei trentenni, queste fantomatiche creature evidentemente poco note ai più. Sarebbe bastato questo, come deterrente alla lettura. Eppure, la verità è che Spatriati è un romanzo di cui si apprezza tutto. TUTTO. Narrazione, trama, ritmo, ambientazioni. Tutto, davvero.

È forse cosa buona e giusta avvertire il lettore ignaro che non sembra affatto un romanzo italiano, anche e soprattutto per la modernità delle tematiche, dal gender fluid a quanto poco possano essere incasellate le relazioni. Il bianco accecante di Martina Franca, Locorotondo e Cisternino lascia spazio alle dark room di Berlino, meta hipster per eccellenza per gli “spatriati” di ogni dove. Leggetelo, è emozionante.

“A volte si leggono libri solo per sapere che qualcuno ci è già passato”

Bianco è il colore del danno | Francesca Mannocchi

Quello di Francesca Mannocchi non è solo un racconto autobiografico del suo rapporto con la malattia, una patologia cronica scoperta cinque anni fa e per la quale non esiste cura, ma è anche un viaggio nella fragilità umana. Nelle corsie degli ospedali,  ‘spazio del potenziale, perché anche la medicina è fragile’, e nei corridoi dei rapporti familiari.

È un carotaggio dell’inconfessabile che tutti abbiamo, scritto magnificamente da una penna onesta e diretta come l’autrice stessa. Genitori, figli, figli dei figli e spade di Damocle. Tutto e tutto insieme, cercando di non perdere i pezzi.

Un libro ‘che sa cambiare le lenti agli occhi’.

Quando abbiamo smesso di capire il mondo | Benjamìn Labatut

“Dio non gioca a dadi con l’universo!” – Albert Einstein
“Non spetta a noi dire a Dio come manovrare il mondo” – Niels Bohr, secondo Labatut
Ci sono libri che si accontentano di essere letti.
E poi ci sono libri che ti concedono generosamente di arrivare all’ultima pagina in uno stato febbrile, lasciando la tua mente ingarbugliata in nuovi pensieri mai scaturiti prima tra le tue sinapsi.

Se già la prima parte del libro di Labatut è un evidente gioco di luci e ombre sul mondo della scienza, che cattura il lettore e lo trasporta negli abissi della storia, la seconda è ancor più dicotomica e suona da subito come un monito al lettore, qualcosa di simile a “anche la luce della ragione può accecare”.

Non abbiate timore di perdervi tra queste pagine di finzione basate su fatti reali: le ragioni di Labatut sul retrogusto amaro con cui si chiude il libro sono sotto agli occhi di tutti (o quasi): le interpretazioni sul mondo in cui viviamo sono innumerevoli e tutt’altro che lineari o comprensibili ai più.

Qui per approfondire.

Un cazzo ebreo | Katharina Volckmer

Uscito a inizio 2021, il primo romanzo della tedesca-londinese di adozione Volckmer è uno scoppiettante concentrato di trovate. Capace di spiazzare per una fortissima nota quasi comica (a tratti da stand-up comedian), che ci porta in una direzione, per poi improvvisamente cambiare e trascinarci altrove.

Si sviluppa come una sorta di soliloquio verso un’altra persona (che non è chi pensiamo all’inizio che sia), che racconta le idiosincrasie del popolo tedesco, della protagonista e del suo mondo, in un crescendo senza sosta. Chi conosce la Germania (o vi ha vissuto) non potrà non ridere apertamente nelle primissime pagine.

Il climax, però, mira ad altro e la strada non è rettilinea ma conduce verso un mondo inatteso dove il genere (letterario e umano) si fanno fluidi e si concentrano per trovare l’energia di questo cazzo di origine ebraica, elemento totemico inizialmente assente (come un vuoto al centro, intorno a cui si gira) e poi sempre più presente, catalizzatore vorticoso della psicologia dell’autrice.

Boulder | Eva Baltasar

“Dice che somiglio alle grandi rocce solitarie del Sud della Patagonia, pezzi di mondo avanzati dalla creazione, isolati, esposti a tutto. Nessuno sa da dove provengano. Le racconto di aver visto scogli simili in mezzo al mare. Le navi gli passano attorno in silenzio, quasi temano che lì si nasconda un essere mitologico in grado di alzarsi e attaccarle. Non stanno sempre soli, a volte ce ne sono altri a poca distanza. Possono addirittura formare labirinti nei quali è meglio non entrare. Mi chiama Boulder e ridiamo senza sapere bene perché.”

Eva Baltasar colpisce ancora.
Dopo il successo di Permafrost, Boulder riesce a concentrare in 120 pagine una storia che sembra di poter toccare da vicino, con un sentimento oscillante come le onde del freddo mare di Reykjavík. Baltasar è feroce nella descrizione quasi asettica delle emozioni delle sue protagoniste: il cinismo non lascia spazio alla pietas, e perchè dovrebbe? E’ confortante, infine, che anche nei romanzi si cominci a parlare di fecondazione assistita senza tabù.

“Come mai non esce sangue da questo punto in cui il dolore è così intenso?”

Solenoide | Mircea Cartarescu

Ogni volta che si alzano gli occhi dal libro, si pensa a paragoni con Kafka, Borges, Joyce, Marquez. Eppure Solenoide spicca per una sua completa autonomia dai modelli preesistenti. Questo è il campionato in cui Cartarescu gioca, quello dei libri destinati a rimanere nella storia come pezzi fondamentali di un puzzle incompiuto che chiamiamo “letteratura”. Grande letteratura. Quella che di solito si studia a scuola, quella che lascia il segno.

E leggendo l’immenso maelstrom di Solenoide non si può che pensare che lascerà il segno.
Esce in Italia dopo alcuni anni il capolavoro di Cartarescu. In una Bucarest onirica e allucinata, capace di incubi ctoni quanto di lirismo immaginifico, si muove un modesto professore di rumeno, che scrive una sorta di libro-diario di tutto ciò che accade dentro di lui. I piani di realtà si sovrappongono con le fantasie e con le psicosi, in un gioco vorticoso e apparentemente senza fine.

Difficile riferire una vera trama, se non la vita interiore così complessa del protagonista. Quello che sappiamo, però, è che il libro è capace di afferrarti e non lasciarti mai andare, mantenendo un livello altissimo per oltre 900 pagine, senza mai rallentare. Mai.

La morte di Vivek | A. Emezi

“Se nessuno ti vede tu ci sei ancora?”
Come si affronta il dolore – che appartiene a ciascun* – di sentirsi spezzat*, divers*, rifiutat*, incert*, sol*?
La storia che conduce alla morte di Vivek – il cui lutto cominciamo ad affrontare ed elaborare fin dal titolo, pieni di domande – è la storia di formazione di una ragazza transgender MtF di Aba, Nigeria, per come ci viene raccontata da un coro polifonico di voci e per come pare intrecciarsi alle altrui storie individuali.

Nel breve romanzo – vertiginosamente poetico – di Akwaeke Emezi si mescolano domande ultime ed irrisolvibili legate alla religione, alla famiglia, al colonialismo, alle identità, al peso della tradizione, alla marginalità, alla queerness e al dolore.

La testa di questo stormo complesso, tuttavia, resta sempre l’amore: dopo tutta la morte ed il dolore attraversati, sarà proprio questa la traccia, l’impronta più netta che i lettori e le lettrici realizzeranno di aver fin dal principio inseguito sul filo tragico delle parole.

Un incendio | M. Majumdar

È uno specchio fedele e impietoso di molti connotati del nostro tempo, il romanzo di Megha Majumdar, scrittrice indiana esordiente che si aggiunge ad altri talenti conterranei – pensiamo a Deepa Anappara e al suo incredibile “La pattuglia dei bambini” (Einaudi, 2020) o a Meena Kandasamy e al suo claustrofobico, potentissimo “Ogni volta che ti picchio” (e/o, 2020) – che paiono voler urlare ad alta voce che la nuova letteratura bombarola viene dall’India e ha voce di donna.

Ambientata nel contesto degli slum indiani, la storia di Jivan e delle voci che la raccontano è una storia di ingiustizia, di diritto, di tradimenti, di fake news, di social media, di politica corrotta, di giornalismo infedele, di desiderio di riscatto, di povertà economica ma soprattutto morale, quale apparentemente ineludibile derivato della pima. In un mondo in cui tutto sembra irrecuperabile e in cui l’unica via percorribile è la discesa all’inferno si alza il grido atroce di Majumdar, che squarcia il cielo.




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