I dog days di Florence + The Machine are NOT over

I dog days di Florence + The Machine are NOT over

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La crisi del nuovo album prima o poi arriva. Per Miss Welch, non ancora.

TicketOne ha il piacere di informarLa che il Suo ordine è stato preso in carico dal corriere espresso

Mi sono fatta il regalo di Natale con un po’ di anticipo: ho preso i biglietti per il concerto di Florence + The Machine (21 Dicembre, Mediolanum Forum di Assago). Presa dall’entusiasmo, non mi ero nemmeno resa conto di non aver ascoltato tutto il nuovo How Big, How Blue, How Beautiful, uscito il 29 Maggio scorso. Dopo aver placato il delirio di onnipotenza da iohopresoibigliettievoino – sold out, bitches! – un dubbio ha assalito la mia mente.

E se il nuovo album facesse schifo?

Florence_+_The_Machine_-_How_Big,_How_Blue,_How_Beautiful

Un po’ come la crisi del settimo anno per le coppiette, i musicisti hanno la crisi del nuovo album. Per alcuni è il settimo, per altri il ventordicesimo, ma prima o poi arriva, come il frecciabianca di Trenitalia: quando meno te l’aspetti (per una ricerca empirica sulla mia teoria, ascoltare dall’inizio alla fine Chinese Democracy dei Guns’n’Roses. Aspettando il treno, magari). Ovviamente come ogni graaande teoria che si rispetti, anche la mia ha qualche piccola falla: gli Arctic Monkeys, per esempio, con AM nel 2013 hanno fatto il colpaccio; The Magic Whip dei Blur è una meravigliosa versione 2.0 del britpop anni ’90. E anche Florence + The Machine non ha sbagliato.

How Big, How Blue, How Beautiful è puro, pulito. Florence Welch ha “spento” i capelli, ha tolto il trucco, ha messo il body sbrilluccicoso che portava nel video di You Got The Love nell’armadio, ha lasciato le scarpe a casa e canta a piedi nudi, armata come sempre di quei versi carichi di parole pesate e pesanti, che spara attraverso la sua potentissima voce. La stessa voce che ti riempie, ti elettrizza, ti trascina al punto dal farti credere di poter cantare con lei e come lei: poi però ti ricordi che hai lo stesso talento delle vecchiette che cantano in chiesa, in hangover da torneo di burraco del sabato sera, e ti limiti al tuo secret concert in macchina o sotto la doccia (il mondo non è ancora pronto per te, abbi pazienza).

16 tracce (11+5 bonus tracks), 69 minuti di un racconto in bianco e nero, che sembra analizzare in maniera mai scontata le sfaccettature di una relazione finita e non dimenticata, la cui fiamma non accenna ad affievolirsi e continua a bruciarci vivi dentro, quasi sospesa nel tempo e sorretta dalla solita inarrestabile speranza che tutti abbiamo provato almeno una volta – “You don’t have to let me in/Just know that I’m still here/I’m ready for you whenever, whenever you need/Whenever you want to begin” (Hiding, bonus track). Ok, il topic non sarà dei più freschi, è vero, ma è l’approccio a fare la differenza. Il disco è un inno alla conquista della consapevolezza delle proprie difficoltà nell’andare avanti, senza per questo dover rinunciare alla propria dignità. “Sto male, mi hai abbandonata qui nel limbo e sì, io l’ho arredato, ma prima o poi lo lascio, con o senza di te”. Non c’è spazio per vittimismi inutili o piagnistei, tipiche banalità alla solecuoreamore: ci sono forza, riconquista della propria libertà e – perché no? – un po’ di rabbia.

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In questo suo nuovo album, la Patti Smith degli anni zero (si prega di leggere con calma e non gridare alla “musibestemmia”, grazie) ci accompagna a piedi nudi nel suo cammino spirituale, tenendoci per mano. A volte ce la stringe forte e ci strattona quasi a volerci svegliare, come nel singolo What Kind of Man; altre volte ce la sfiora, ci accarezza senza però lasciarci andare, come in How Big, How Blue, How Beautiful, che dà il nome all’album, e St.Jude.

Ascolto questo disco ininterrottamente da tre giorni, e per rispondere a voi e a me stessa: No, l’album non fa schifo, nemmeno lontanamente, nemmeno per sbaglio. E adesso vado ad aprire a Santa Claus, che mi ha portato i biglietti in incognito, vestito da corriere dell’ups.

Grazie Miss Welch, ci vediamo a Dicembre.

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