I Clowns From Other Space e Kavafis
Il quintetto abruzzese accarezza i Radiohead di vent'anni fa
Succede che esci un sabato sera a caso, e ti ritrovi tra un teatro ed un locale di quelli familiari, quelli in cui la musica è sempre quella giusta al momento giusto e l’ultima birra non è mai l’ultima: in una piccola stradina del centro, chiusa per lavori, in mezzo alla polvere e alle transenne, ho incontrato i Clowns From Other Space.
Tra la piccola ma attenta folla che li seguiva, e qualche antifurto che hanno fatto (in)volontariamente scattare, i cinque ragazzi hanno eseguito il loro album d’esordio, Zeng, trascinando l’ascoltatore in un mondo a parte, tutto loro. Era come se avessero aperto una porta nella loro intimità, per farci entrare tutti. Zeng è una sorta di viaggio onirico, in cui il percorso del quintetto potrebbe sembrare al primo impatto in balìa della confusione. Non c’è nessuna meta, nessun obiettivo finale: la potenza del disco, il messaggio ultimo, è un sogno lungo 36 minuti. È il viaggio stesso ad essere la meta, lo stesso viaggio di cui parlava Kavafis nei suoi versi – ecco, se dovessi consigliarvi una poesia da leggere con i Clowns in sottofondo, non ne troverei una più azzeccata di Itaca.
– Avete qualcosa dei Radiohead
– (sorrisi giganti) Eh, è quello che dicono
Hanno in effetti un retrogusto Radiohead, ed è difficile non vederlo, non sentirlo, come è difficile fare quello che fanno loro: portare sulle spalle un paragone del genere senza cadere nella banalità dell’imitazione. Reggono il confronto con Yorke e soci e rimangono fedeli a loro stessi, senza scimmiottare o forzare la mano. Camminano su un filo sottilissimo, a tratti fragile, che li tiene sospesi tra i Radiohead di vent’anni fa, e il Damon Albarn di Beetlebum, e non accennano a cedimenti, non perdono l’equilibrio.
Tra brani eseguiti in punta di piedi (Verve) e ad altri tirati fuori a mani nude dallo stomaco (How To Become A Fool), la voce del gruppo, Cesare Di Flaviano, regala a sorpresa una bellissima cover di Between The Bars di Elliott Smith. Impossibile non ascoltarla in religioso silenzio.