Hunt for the Wilderpeople
La natura ed i paesaggi della Nuova Zelanda, dal punto di vista cinematografico almeno, hanno sempre richiamato alla mia mente il Signore degli Anelli. Da oggi (o meglio da ieri sera) non più. Hunt for the Wilderpeople non è semplicemente un bel film ambientato nella meravigliosa Nuova Zelanda con favolosi attori neozelandesi e diretto dalla leggiadra mano di Taika Waititi (Moana, Thor, Boy). È probabilmente uno dei film più belli, commoventi, divertenti, e profondi che abbia mai visto. Punto.
Un ragazzino senza genitori, delinquentello sovrappeso ed intriso di cultura hip hop “gangsta”, viene affidato alle cure di Bella (Rima Te Wiata) e Hector (Sam Neill), una coppia di mezza età che vive ai margini del “bush”, la foresta neozelandese. Accompagnato dalla rude e decisa assistente sociale Paula (Rachel House), Ricky, interpretato dall’incredibile tredicenne di origini maori Julian Dennison, viene lasciato senza tanti complimenti in un ambiente a lui totalmente estraneo, in compagnia di una signora dai capelli incolti e gli occhi dolci, il cui pullover preferito ha un grazioso gattino ricamato sul petto, e di un signore barbuto e taciturno, chiaramente contrario a questa adozione. Nonostante la borsa del’acqua calda lasciatagli da “Auntie” Bella sotto le coperte, Ricky decide di non lasciarsi intenerire, e scappa la prima notte verso il bush, accompagnato dalla prima traccia maestosa di una colonna sonora indimenticabile, per essere ripescato il giorno dopo da Bella, addormentato tra i cespugli a duecento metri dalla piccola fattoria. La dolce e diretta mamma adottiva lo riporta a casa e lo coccola con una tenerezza da spezzare il cuore (lacrimuccia anche maschile assicurata), ed i successivi dieci minuti (cinematografici) di amore familiare competono con l’intro di Up, per dolcezza e sintesi.
E come in Up, la felicità semplice e dai toni caldi, non dura. La piccola famiglia viene colpita da una dolorosa tragedia che minaccia di rispedire Ricky tra le grinfie dei servizi sociali, di Paula, e della freddezza della città. Hector decide di lavarsi le mani di questo grasso cittadino con cui non ha nulla da spartire, e perciò Ricky decide di portare a termine quello che l’amore di Bella aveva fermato: scappare attraverso il bush. Accompagnato dal suo meraviglioso cane Tupac (!), regalo di Auntie, Ricky sopravvive ben mezza giornata, e solo grazie a dieci panini imbottiti, nel bush, prima che Uncle Hector lo riacchiappi per un orecchio. Da questo momento in poi i destini di questi due esseri così diversi si uniranno inscindibilmente, nella più epica avventura che la Nuova Zelanda abbia mai visto – ben consapevole di esserlo, confermato da una buffa citazione da La Compagnia dell’Anello.
È difficile trasporre in parole cosa renda esattamente questo film il capolavoro che è: i brillanti, esilaranti dialoghi, la perfetta caratterizzazione dei personaggi, la profondità dei temi toccati comunque con leggerezza, il ritmo, il neozelandese – meraviglioso, riuscitissimo mix di cadenza texana e accento scozzese, la colonna sonora, le zoomate alla Wes Anderson, l’elenco è sterminato. L’armoniosa comunione di tutte queste caratteristiche è comunque “solo” la cornice del duetto tra Hector e Ricky, che lascia senza parole dalla prima all’ultima scena. Il piccolo wannabe gangster porta uno slang da ghetto nella foresta amazzonica, insieme al suo giubbotto rosso “all eyez on me” ed i suoi libri – eppure il fatto che un orfano, sballottato da famiglia adottiva a famiglia adottiva lasciandosi dietro una cattiva reputazione e atti di “vandalismo”, ami leggere non viene mai sbattuto in faccia allo spettatore, né tantomeno drammatizzato o innalzato a livelli pseudo-intellettuali. Tale amore per la parola scritta (e non – il film ci regala haiku improvvisati indimenticabili) trapela nella parlantina impeccabile ed articolata di Ricky (se escludiamo naturalmente il gergo badass, qui così tenero ed innocente), che inoltre ha una sensibilità, un’abilità di riflessione ed osservazione sicuramente estranea a molti suoi coetanei. Sam Neill dal suo canto è perfetto nel ruolo del burbero barbuto e brontolante, laconico e imperscrutabile, dal passato difficile. I botta e risposta tra i due sono lievi e ben distribuiti, le frecciatine acide ma amorevoli ricordano i bisticci di una coppietta, e lo spettatore cade subito preda del calore così dolorosamente umano di questa storia.
Impedibile, indimenticabile. Non so perché me lo sia perso all’arrivo in Europa. Non vedo già l’ora di guardarlo di nuovo.
Titolo Originale: “Hunt for the wilder people”
Regia: Taika Waititi
Anno: 2016
Cast: Taika Waititi, Julian Dennison, Sam Neill, Rhys Darby, Rachel House