Houston, (non) abbiamo un problema. Il nuovo album di Solange
Una lettera a cuore aperto nei confronti della città che l’ha vista crescere: Houston,Texas. When I Get Home è il quarto album di Solange – sorella di Beyoncé, se proprio volete il dettaglio biografico noto – ed è perlopiù un misto di sonorità e locuzioni R&B, Hip-Hop e Cosmic Jazz. Un lavoro complesso che poi all’ascolto risulta davvero leggero e rilassante; un’opera che ha il potere di fluttuare tra un timpano e l’altro senza mai distoglierci dalla voce principale.
Il progetto nel suo complesso vede numerose collaborazioni: in primis ci viene da nominare Tyler The Creator (dalle tastiere agli accompagnamenti vocali), Earl Sweatshirt, Metro Boomin e Sampha, scrittore e cantante inglese con il quale Solange aveva già lavorato e che vanta collaborazioni prestigiose con alcuni tra le più importanti voci della scena mondiale, oltre che un album acclamatissimo come Process.
Un seme piantato nel 2016 (A Seat at The Table); un seme delicato, fragile, non facile da far germogliare. Le stagioni che hanno accompagnato la crescita di questa pianta hanno portato rigidi inverni ed estati secche dure da sopportare. Gli innesti, praticati con la giusta cura, hanno dato vita a dei frutti dalla buccia scabra ma dal sapore delicato (e non per tutti i gusti).
“I can’t be a singular expression of myself, there’s too many parts, too many spaces, too many manifestations, too many lines, too many curves, too many troubles, too many journeys, too many mountains, too many rivers, so many”. Nell’interludio Can I Hold the Mic, Solange è un’artista che non può essere descritta in modo univoco: la sensibilità e il concretismo che l’accompagnano le permettono di indossare più maschere. In apertura di album, invece, un invito: “saw things I imagined, I saw things I imagined”.
Per prendere parte a queste visioni io ho semplicemente chiuso gli occhi e mi sono lasciato trascinare da un synth che mi ha attraversato. Non bisogna limitarsi mai nel sognare: perché farlo? I sogni, prima o poi, saranno vissuti: in una società sempre più frenetica e arrivista, che ci ha privati della pazienza, il suggerimento è quello di non arrendersi mai (Dreams). Tra mille vibrazioni, è Solange che ci culla nell’attesa che quel sogno si realizzi.
È importante non dimenticarsi le proprie origini, ci dice l’artista. Le radici e le tradizioni della cultura nera del sud statunitense vengono affermate con orgoglio: tra i vari riferimenti viene citata la Florida Water, una mistura di oli essenziali appartenenti alla religione Voodoo o alla Santeria, per riaffermare una serie di tratti esclusivi della sfera afro-americana (Almeda). Musica come ponte nelle nostre vite verso culture altre, non un muro.
“And it gives me hope for the trials
And the fear of the unknown that moves too close (real close)”
La paura dell’ignoto ha sempre messo a dura prova le persone, allontanandole piuttosto che rendendole complici. Saper sperimentare e convivere con certe paure, al contrario, ci fa raggiungere posti inimmaginabili tanto con il cuore quanto con la mente. Nella comunità in cui ci troviamo non è mai semplice parlare di sesso, per via di tabù e religioni varie. Ecco che Jerrod è allora la traccia incentrata sul sesso: un complesso di concessioni, trepidazioni, confidenzialità. Trovo piacevole fare un riferimento anche a J. Cole che ha saputo trattare lo stesso argomento in un altro (capo)lavoro, con sensibilità e la giusta semplicità (Wet Dreamz, dall’album 2014 Forest Hills Drive).
Quasi giunti alla conclusione, poi, arriva lo zampino di The-Dream, leggenda della scena R&B: Binz distrugge lo stereotipo dell’afro-americano povero. Il tutto è contestualizzato da un videoclip semplice e divertente dove Solange mostra la sua gioia nel divertirsi, e la sua sensualità, davanti alla camera di un telefono.
“I just wanna wake up to the suns and Saint Laurent Hundred
thousand dollars on the fronts and the blunts”
When I Get Home non presenta interruzioni, ma piacevoli connessioni spazio-temporali tra una traccia e la successiva. Questi legami sono in realtà riferimenti geografici oggettivi: la traccia 15 (Beltway) è il nome della circonvallazione che gira attorno alla città di Houston; la numero 16 (Exit Scott), è una delle uscite della Beltway 8, nella parte sud della città. Una trasposizione che permette all’ascoltatore di creare delle immagini mentali stabili degne di Google Maps.
A concludere questo percorso è una fusione tra suoni pazzeschi e un messaggio semplice:
“And I won’t stop ‘til I get it right, Good night” (da I’m a Witness)
Anche la cover dell’album, rispetto al precedente lavoro, mostra un’evoluzione nella personalità dell’artista. Capelli lisci, un aspetto più selvaggio in comparazione alla formalità e chiusura emotiva mostrata precedentemente: l’intimità e la vulnerabilità si sono fatte da parte per lasciare il posto a un’espressione accattivante, di sfida.
Titolo | When I Get Home
Artista | Solange
Durata | 39’
Etichetta | Columbia
Francesco Galati