Him & Her – amore e comunicazione secondo Daria Geller
Trasposizione moderna di un racconto di Anton Cechov, Him & Her della regista Daria Geller mette in scena una relazione tanto realistica quanto disfunzionale. Lei è un’artista, una cantante; lui il suo manager e marito. Apparentemente diversissimi: lei attraente e mondana, lui silenzioso e taciturno. Si odiano. Oppure si amano. Si odiano e si amano.
Il libro di Cechov rappresentava la coppia attraverso lettere, mentre l’artificio usato nel cortometraggio è una sorta di intervista doppia, che accompagna le immagini. I due protagonisti, messi davanti allo specchio, raccontanto prima di tutti i difetti dell’altro (molto simili fra i due: sono entrambi alcolisti e soffrono di una sorta di narcisistico egoismo), per poi chiedersi perché si amano. Che forse è la domanda più complessa per ogni coppia. Come amarsi nonostante tutto (i difetti, le incomprensioni, la frustrazione, le sigarette a letto).
A parte questi confessionali, che vengono sentiti dallo spettatore ma non dall’altro, i due protagonisti parlano poco e spesso per litigare ed insultarsi, per schernirsi e farsi vicendevolmente del male. La comunicazione fra la coppia avviene più coi gesti, che con le parole. Il climax di schermaglie giunge al suo culmine con la salita sul palco di lei: la sua voce, che lui ama e brama, risolve tutto, sempre.
Noi spettatori non sentiamo mai la voce della protagonista cantare: non potremmo comunque mai sentirla come la sente lui, come l’unica cosa per cui ha senso vivere. Né potremmo mai essere il pubblico di cui lei ha bisogno: solo l’adorazione assoluta di lui può farla sentire viva sul palco. Per qualche ora si può tornare a volersi bene, senza altri pensieri. Almeno fino al mattino, quando ci si risveglia in un altro albergo, ma uguali al giorno prima, e ricomincia la guerra quotidiana.
La brutalità di questa relazione disfunzionale è presentata dalla regista non solo attraverso gli ottimi protagonisti (Miriam Sekhon e Evgeniy Kharitonov), ma anche attraverso i luoghi che abitano: hotel più squallidi di quanto ci aspetteremmo, tetre architetture russe, stanze anguste e affollate. Anche la luce contribuisce a rendere quanto brutale la loro relazione sia. È livida e quasi eccessivamente realistica al risveglio, tanto che sembra di sentire l’acre odore di fumo che impregna la stanza. Diventa via via più morbida, fino a virare verso un caldo rosso quando ci si avvicina al concerto di lei, unico momento in cui il realismo graffiante lascia il passo ad una visione più sentimentale.
No, non è il cortometraggio perfetto per San Valentino; non è tutto rose, cioccolatini e flute di champagne. Ma è il realistico, per quanto brutale, ritratto di una relazione nella sua complessità, in cui diversi sentimenti, anche opposti, fanno il loro gioco. Disfunzionale, ma in fondo funziona.