Herbert White, James Franco e la poesia di Frank Bidart

Herbert White, James Franco e la poesia di Frank Bidart

No, ma faglielo un primo piano, James!

Non tutti lo sanno, ma James Franco ha una doppia vita. Accanto a quella di adorabile cazzone, che più lavora sopra le righe e meglio è, ha sempre affiancato una vita da cineasta impegnato, tanto da aver realizzato una serie di film basati sulle opere di Faulkner (con alterni risultati, per la verità). Queste due vite e queste due ambizioni sembrano collimate in The Disaster Artist, dove può permettersi di cazzeggiare ed inoltre realizzare buon cinema.

L’idea di trasportare la letteratura al cinema è sempre piaciuta a James Franco, che nel 2010 ha realizzato Herbert White, un cortometraggio ispirato alla omonima poesia di Frank Bidart. Alla guida della scena (e di macchine e articolati, per la maggior parte del tempo) troviamo Michael Shannon, sempre perfetto per realizzare ruoli disturbati e disturbanti. La follia increspa il suo volto come una corrente sotto la superficie increspa il mare e l’intensità della sua recitazione non travalica mai i confini che dal realismo portano al grottesco.

Herbert White è all’apparenza una persona normale: ha una famiglia, un lavoro, parla poco e ha scarsi contatti umani. Ma una battaglia fatta di demoni spaventosi alberga costantemente dentro di lui. Il regista e sceneggiatore alterna scene di vita a scene del lavoro di Herbert, che muove una ruspa per abbattere gli alberi di un bosco. Sotto l’apparente calma si nasconde un istinto distruttore, spiegato in maniera didascalica ma efficace dall’accostamento di immagini. Non mancano né i primi piani né la telecamera a mano che tanto piacciono a Franco quando vuole portare l’emotività in scena (molto chiaramente visibili nei suoi film basati su Faulkner). La scrittura struttura il corto come un climax di tensione verso il brutale finale, dove si scopre l’ossessione di Herbert.

Interessante è il rapporto con la poesia da cui il film prende avvio ed ispirazione, pur non portandola in scena nella sua interezza. Il cortometraggio manca di quella sorta di leggerezza che rende la poesia così tremenda e neppure ci parla dell’infanzia di Herbert e del rapporto coi genitori. Franco sembra interessato più a catturare la vicenda di Herbert, che le sue contraddizioni intrinsiche ed infatti struttura il corto con un climax di tensione, quando la poesia viene creata come una sorta di anti-climax che inizia dalle turpitudini di Herbert per portarci indietro, fino a portarci allo specchio del protagonista:

—Hell came when I saw
                                     MYSELF…
                                                      and couldn’t stand
what I see…
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