Hammamet, ritratto di un uomo senza qualità?
Maggio 1994, viene ordinato il ritiro del passaporto di Bettino Craxi, indagato per corruzione e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano. Tuttavia, l’ex Presidente del Consiglio dei Ministri si trova già in salvo ad Hammamet, città costiera tunisina.
Il film di Gianni Amelio Hammamet inizia qui, nel momento in cui Craxi, da protagonista della Storia qual era, è costretto a fare la sua uscita di scena, destinato a vivere il malessere di chi aspetta che accada qualcosa con la certezza che non potrà mai succedere. Attraverso la quotidianità, il gesto insignificante e le brevi e rare visite di qualche amico la pellicola delinea i tratti di Bettino: spogliato dei paramenti parlamentari non resta che un uomo.
La vicenda si consuma prevalentemente all’interno della sorvegliatissima villa tunisina – le riprese sono state effettuate proprio nella dimora di Bettino – in una solitudine esistenziale e sociale. L’Italia e soprattutto Milano, la sua città natale, vengono mostrati soltanto in apertura e chiusura del film.
A dominare la fotografia sono cieli azzurri, giornate assolate, architetture bianche e giardini verdi e rigogliosi: un eden visivo che stride con il significato che assume la Tunisia per il protagonista. La macchina da presa lo pedina, si muove fra i corridoi di casa come un estraneo che vuole origliare, lo becca in flagrante mentre mangia ciò che non dovrebbe e si apposta come un paparazzo in giardino per sentire cos’ha da dire con i suoi amici e parenti, per poter cogliere i sintomi della caduta di un uomo.
Interpretato magistralmente da Pierfrancesco Favino, Craxi si mostra come un leader autoritario, arrogante, irascibile e dedito al vizio. Il diabete non è un motivo sufficiente per fermarlo dal mangiare la pastasciutta; due condanne definitive per corruzione e finanziamento illecito non riescono a farlo sentire colpevole, convinto di essere stato vittima di un complotto ordito dai comunisti; le precarie condizioni di salute non gli impediscono di continuare a fumare.
Intorno a lui ruotano personaggi inconsistenti, fantasmi strettamente funzionali e incapaci di spiccare poiché destinati ad essere schiacciati dall’ingombrante presenza del protagonista. Non oppongono la minima resistenza quando l’ex politico mangia direttamente dal loro piatto, un gesto tanto significativo da sembrare una spia della posizione del regista, esplicitata nel finale: colpevole.
Finalmente, dopo vent’anni dalla sua morte e ventisei anni dalla sua fuga in Tunisia, è possibile schierarsi con un certo distacco dalla parte di chi guarda a quest’ultima fase della sua vita come latitanza piuttosto che esilio.
Fuggito di sua volontà, continua a provare tensione verso la propria Patria, tanto da andare sempre nella solita sudicia spiaggia soltanto perché riesce a vederne le coste all’orizzonte nelle giornate in cui l’aria è tersa. Ma il ritorno, anelato, è allo stesso tempo auto-negato poiché è troppa la paura di essere arrestato ancor prima di riuscire a scendere dall’aereo.
A questo sentimento di grande importanza di sé fa da contraltare una malcelata pavidità davanti all’Italia e ai suoi rappresentanti. Infatti l’impossibile riconciliazione con il paese natio si riflette nei rapporti con chi è rimasto a vivere in quel luogo irraggiungibile: non esiste possibilità di dialogo né con il figlio né con l’amante quando verranno a trovarlo.
I rapporti con la Patria e i suoi abitanti sono insoluti, perché l’unico modo per trovare sciogliere l’impasse sarebbe quello di ammettere la propria colpevolezza, arrivare alla catarsi della confessione. La sospensione a cui Craxi è sottoposto è totalmente autoinflitta, perché alla fine dei conti è soltanto un arrogante superbo cafone, come sottolineano i suoi stessi amici.
La verità la rivela soltanto una volta, al figlio del vecchio amico e compagno Sartori, morto suicida per sfuggire all’operazione di mani pulite. Ma alla fine poco importa il contenuto di questa unica confessione, che infatti non verrà mai esplicitato. Quello che davvero conta è l’indagine sull’interiorità di un grande uomo politico ormai in corsa lungo il viale del tramonto, lontano dalle sue radici e dal suo passato.
A volte quello che si trova nel fondo di alcune anime può essere soltanto una totale e desolante assenza di qualità.
Alessio Chiappi