Guida medica ragionata ai romanzi di Oliver Sacks
Le malattie della mente sono strane, creano repulsione e fanno paura più della maggior parte delle altre, forse perché sono socialmente poco adatte, più probabilmente perché portano al pensiero di poter perdere noi stessi prima o poi.
Oliver Sacks, noto neurologo dell’età contemporanea, ha deciso quindi, così come in Risvegli, di raccontarci questi tabù, mettendo quasi del tutto da parte l’asettico camice e riavvicinandosi all’umanità “distorta” di chi ha di fronte.
L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello è diviso in quattro parti: perdite, eccessi, trasporti ed il mondo dei semplici.
Perdite ed eccessi sono titoli autoesplicativi: si parla di situazioni caratterizzate da perdite o grottesche esagerazioni di funzione, che si potrebbero osservare in modo similare in chi perde la capacità di muovere un arto per un ictus o in chi è invaso da movimenti “alieni” per una corea di Hungtington, ma che non sono così facilmente identificabili quando si parla di funzioni mentali superiori. Un esempio è quello di Jimmie, ex marinaio che ha perso la memoria dei suoi ultimi trent’anni di vita, oltre che la capacità di immagazzinare ulteriori ricordi. Il problema opposto colpisce Ray, i cui mille tic causati dalla sindrome di Tourette limitano profondamente la sua adeguatezza sul lavoro così come nei rapporti. O Natasha, cui la neurosifilide comporta atteggiamenti libidinosi e sconvenienti per un’anziana donnina di novant’anni.
In Trasporti Sacks va più in profondità, mettendo da parte quelle malattie in grado di distorcere il rapporto con ciò che esterno, per occuparsi di ciò che è alterato e distorto nel fenomenico, di ciò che riguarda il mondo interiore, manifestandosi con “reminiscenza, l’alterazione della percezione, dell’immaginazione, del sogno”. Situazioni del genere sono, se possibile, ancora meno comprensibili di quelle precedentemente descritte e probabilmente ancora meno sono in grado di portare a comprendere e a provare empatia nei confronti di chi ne è affetto, come l’anziana signora O’C., la cui giovinezza in Irlanda tutto ad un tratto ha preso a tornarle alla mente sotto forma di reminiscenza incoercibile delle canzoni irlandesi che hanno caratterizzato la sua infanzia.
Infine, in Menti semplici Sacks esplora il nuovo equilibrio mentale delle persone “deficienti” o ritardate, scoprendone la concretezza e l’esaltazione di capacità comunicative e relazionali molto più sopite nelle persone “sane”. Come nel caso di Rebecca, affetta da una sindrome che ne rende goffi e grotteschi i movimenti e deficitaria l’intelligenza, portando però allo sviluppo di una affettività e ad una capacità di espressione tramite il linguaggio dei simboli del tutto fuori dalla norma.
Ma Oliver Sacks, come dicevamo, nello scrivere questo libro non sta indossando un camice. Non compie un esercizio di stile medico, non descrive più di tanto le patologie. Oliver Sacks, con tutta la sensibilità che lo caratterizza, racconta le persone che ha di fronte. Ne racconta i drammi, ne racconta la dignità e, soprattutto, ne racconta l’agrodolce salvezza.
Sì, perché queste persone in qualche modo più di una volta si salvano.
Jimmie il marinaio vive davvero nel passato ed il suo stupore è autentico quando Sacks gli mostra una foto della Terra scattata dalla superficie lunare, che di certo risulta poco realistica nell’eterno 1945 in cui vive Jimmie. Il nostro marinaio però è ancora in grado di ritrovare l’armonia con il mondo che lo circonda e ricollegare passato e presente quando incontra il fratello e riesce a riconoscerlo, pur trovandolo vagamente invecchiato per avere non più di trent’anni. “Mah, forse c’è chi invecchia presto”, commenta laconicamente e serenamente.
Ray invece inizialmente trova sollievo dai farmaci in grado di placare i suoi tic, ma per qualche motivo inizia a sentirne la mancanza. Sì perché, solo per dirne una, i tic hanno un peso fondamentale nella sua carriera di batterista jazz (!), in quanto capaci di scatenare virtuosistiche e selvagge improvvisazioni in grado di dare un senso “umano” ai suoi impulsi.
”Mettiamo che lei riesca a eliminare i tic” disse. “Che cosa rimarrebbe? Io sono fatto di tic: non rimarrebbe niente”. Egli sembrava, almeno per scherzo, avere uno scarso senso della propria identità se non come “portatore di tic”: parlava di se stesso, in terza persona, come di “Ray dei mille tic”, aggiungendo di essere così incline allo “spirito ticchico e al tic spiritoso” da non riuscire quasi a distinguere se fosse un dono o una maledizione.
Ė per questo che Ray decide di continuare ad essere un tourettico…ma part-time, accettando di placare i suoi tic per essere una persona posata ed un buon lavoratore da lunedì al venerdì, lasciando però libero sfogo ed estro all’osceno e musicalmente straripante “Ray dei mille tic” nel week end.
Di simile avviso è l’intraprendente Natasha: “Ho capito che avevo la malattia di Cupido, e così sono venuta da lei. Non voglio che peggiori, sarebbe orribile; ma non voglio guarire, perché sarebbe brutto anche questo. Prima di questo pizzicorino, non mi sentivo pienamente viva. Non potrebbe far qualcosa che mantenga tutto com’è?”.
Detto fatto: tolta l’infezione, non sono stati comunque tenuti a bada gli impulsi erotici, con grande soddisfazione dell’anziana!
“Ė buffo,” dice ”ma bisogna dire che Cupido ci sa fare”.
La signora O’C. trova invece malinconica serenità nelle sue reminiscenze, che hanno riportato alla luce piacevoli ricordi nascosti in qualche cassetto nascosto della memoria. Un vero e proprio tesoro emotivo per lei: “Sono contenta che sia successo […] Ė stata l’esperienza più salutare e più felice della mia vita. Ora non ho più quel gran buco nei miei ricordi d’infanzia. Non ricordo più bene i particolari, ma so che è tutto lì. C’è una specie di completezza che non ho mai avuto prima”.
Rebecca, infine, decide in un certo senso di ribellarsi alle cure che mirano solo a risolvere le sue mancanze con l’effetto collaterale di reprimere i suoi talenti più spiccati. E Lo fa attraverso una presa di coscienza che si concretizza in uno dei passi più belli del libro: “Basta con le lezioni, basta con i laboratori” disse. “Non mi servono a niente. Non servono a mettermi insieme […] Sono come un tappeto, un tappeto vivente. Ho bisogno di un motivo, di un disegno come questo sul suo tappeto. Se non c’è un disegno, vado in pezzi, mi disfo […] Devo trovare un senso […] Quello che amo davvero è il teatro”.
Ed è così che Rebecca trova nell’arte la sua dimensione, sublimata nella trasformazione totale nei personaggi che interpreta, e che rende difficile pensare a lei come ad una persona ritardata quando è sul palcoscenico.
L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello è un libro meraviglioso.
Ma non è un libro meraviglioso sulla medicina o sui malati di mente.
E’ un libro meraviglioso sull’uomo, non rappresentato solo dalla malattia che lo affligge, ma anche dalla sua capacità di ritrovare dignità adattandosi e di raggiungere una nuova “forma” in mezzo alle sue distorsioni ed alle sue contraddizioni.
Proprio quelle distorsioni e contraddizioni che esaltano la strana armonia dell’anima che Oliver Sacks coglie in queste persone.