Gli italiani, l’estate e Enrique Iglesias
Quello che non ho capito di estate, politica, musica e statistica in Italia
Uno dei miei sogni dell’infanzia era diventare sociologo. Che non è manco vero, ma mi serve per iniziare l’articolo di oggi. Da piccolo sapete cosa volevo fare? Vai, dite dite. Il calciatore? Nah. L’astronauta cristoforetto? Nah. L’usciere? Nemmeno l’usciere. Volevo fare il pescivendolo ai mercati per strada, quelli settimanali. E no, non sto scherzando. È la verità. Che bimbo curioso dovevo essere! Chissà che ne avrebbe detto Freud. Probabilmente, questo: “DALLAGENTE, PERLAGENTE”.
Ad ogni modo, si diceva che volevo fare il sociologo. Oggi posso finalmente realizzare questa ambizione; falsa, ma va bè. Del resto non è forse la vita di tutti noi un continuo inseguire delle false ambizioni, inculcateci nel cervello in tenera età e reiterate, di giorno in giorno, di mese in mese, di anno in anno? Siamo una moltitudine di violati. Prendete me, per esempio: volevo fare il pescivendolo, il cazzo di pescivendolo, che problemi può avere un pescivendolo?, e invece mi ritrovo a fare un mortal kombat lavoro d’ufficio, con una laurea che certifica poco o nulla, se non il totale inaridimento delle mie capacità sciamaniche in favore della pudica e castigata Scienza Economica.
Ma parliamo di musica, se no il Cornelio Agrippa di Nettesheim che è in me si deprime. Gironzolavo per il World Wild Web, quando mi sono imbattuto nella classifica dei singoli più venduti in Italia. E qui subentra la sociologia: ma come fa, per l’ennesima estate dopo Cristo, a essere alla numero 1 una canzone latino americana? El Perdón, di tale Nicky Jam e prezzemolo Enrique Iglesias (che se lo becchiamo per strada lo crocchiamo di botte tutti insieme, vero?). Non l’ho mai sentita, allora decido di rimediare, perché, che ne sai?, magari è diversa, innovativa, persino magari bella! Non dobbiamo essere prevenuti. Dobbiamo essere come mio fratello, che non ha mai criticato un film senza prima, prima vederlo.
Macchè invece, l’ho ascoltata: ve lo dico, qui si sfiora il penale. È la stessa identica, cazzo identica, canzone di un anno fa, e dell’anno prima ancora, e di quello prima ancora, e ancora, e ancora. Dov’è Amnesty International quando serve? E il pubblico di 12 anni negro? E Green Peace e le sue balene coi leggins? La stessa lagna, sulle stesse tre note in croce, sullo stesso ritmo da volpino in calore. Ma il punto non è tanto questo, ché ognuno può fare la musica che vuole e anche ripetersi all’infinito, se crede (il buon vecchio Max, a cui vogliamo un sacco di bene, ci ha costruito su una carriera, ad esempio). Il punto è la società. Cioè, quello che dobbiamo fare noi dell’intellighenzia che non c’ha voglia di lavorare è chiederci cosa ci dica questo fatto del contesto sociale che ci circonda. Ecco, io me lo sono chiesto, ma una risposta non me la sono riuscita propriamente a dare.
Siamo davvero esseri così semplici, noi esseri umani, che se 15 anni fa abbiamo limonato per la prima volta su una canzone latino americana in spiaggia, allora ogni estate nei secoli a venire ci fa piacere risentire quella stessa canzone, solo cambiata di tonalità o interprete (e delle volte nemmeno questo)? Ci fa sentire ancora al sicuro e felici? Abbiamo bisogno di essere rassicurati così? Perché a “lavoce”, invece di fare quei fastidiosissimi grafici da saputelli che non hanno mai avuto un brufolo sul culo, non mi fanno una bella correlazione tra chi ascolta Enrique Iglesias e chi vota Rocco Buttiglione? Secondo me c’è, vedrai che c’è.
Mmm, no, non c’è invece, mi sa. Ché Buttiglione si beccherà lo zero virgola zero percento, questa canzone invece se la ascoltano tutti, pare. E quindi? Quindi non so, o c’è un Buttiglione in tutti i politici italiani (cosa molto probabile, peraltro) oppure non c’ho capito niente di estate, politica, musica e statistica (cosa ancora più probabile, peraltro).
Ma la volete sapere una cosa ancora più divertente? Anche al secondo posto in classifica c’è una canzone ispanica: El Mismo Sol del bravissimo Alvaro Soler. Brilliamo per fantasia nel Belpaese. E per disturbi psico-affettivi. Il perché di tutto questo, insomma, io non lo so, ma è evidente che, in Italia, estate significa musica latino americana, limoni duri, balli di gruppo e tamarri dal cuore d’oro.
Per fortuna, ci sono sempre le eccezioni. Alla posizione numero 3, infatti, c’è l’immortale e provocatorio J-Ax, con il suo nuovo inno alla marijuana.
“Oh Maria Salvadooor, te quiero mi amooor”.
Ah.
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