Succede che ogni tanto, una volta ogni ventordici mesi, avvenga una qualche reunion nostalgica di amici di una vita, con aggiunte fresche fresche che entrano di diritto nella banda, ed altri che magari si ricordano perché la tipa/il tipo/il lavoro/la vita o quel che è, li allontanano e allora tu ti guardi intorno e ti rendi conto che alla fine sono rimasti quelli che era giusto rimanessero; capita che in queste reunion ci si senta ancora giovani – ma che dico giovani, carichi di post adolescenza piena e sconvolgente – e allora si decida con un rigidissimo programma di fare serata.

Fare serata.
F A R E S E R A T A.

Non vi negherò che sia andata a finire malissimo, perché parliamoci chiaro, il nostro “fare serata” è consistito in: prendere la macchina per uscire alle 21 perché “dai raga, poi se facciamo troppo tardi non troviamo gli autobus, dobbiamo tornare a piedi, fa freddo e ci ammaliamo”; andare a bere in posti non troppo costosi perché “raga ‘sto mese ho un sacco di spese e l’avvocato non mi ha ancora pagato” – “ah volevo dirvi che mi sono licenziato, non posso più fare il ricco”; entrare nei locali, prendere da bere e “raga ma secondo voi questo gin tonic è un gin tonic? A me sembra benzina” “gioia l’hai pagato 3 euro, fai le tue considerazioni”. Il tutto culmina alle 3 del mattino con un “Beh, quindi? Spaghettata? Manu cucini?”. Ah, la gioventù.




La parte più bella, se devo essere onesta, è stata affrontare l’hangover tutti insieme durante il pranzo della domenica. Lì ci siamo resi conto che, oltre a non avere più il fisico, tutte le ansie che ognuno conserva belle strette a galla nella bocca dello stomaco sono comuni, e cerchiamo di conviverci tutti i giorni, chi con più fatica, chi meno. Abbiamo capito che a quasi 30 anni non dovrebbe scioccarci partecipare ai matrimoni degli amici, come non dovrebbe farlo nemmeno il fatto che noi, al contrario di altri, invece di preoccuparci di convivenze e matrimoni, ci preoccupiamo del fatto che il tecnico della Vodafone non ci stacchi la PlayStation per installare il modem (sì, sono io), che non possiamo fare troppi programmi perché non abbiamo una stabilità economica, o emotiva, che ci permetta di fare progetti; ché vorremmo farli, sempre con un po’ di paura, ma dobbiamo aspettare, “fare il nostro”, e farlo il meglio possibile. Ché ci si può licenziare, lasciare o essere lasciati dopo anni alcuni, cercare di togliersi la scadenza dal culo altri, e provare a crescere come meglio si può. E nel mentre, farci compagnia. La prossima volta con vini migliori e con un gin tonic che non sappia di benzina. Ma questa è una cosa su cui non mi sento di fare promesse.

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