“Milan, we’re having a good fucking time”
“Oh senti io non voglio perdermi i Foals, che facciamo? Tra un po’ inizia il concerto” – taxi al gusto ansia (“adesso gli lasciamo un rene, si-cu-roh”), amiche che per farsi perdonare per il ritardo si presentano all’appuntamento con le birrette già stappate, la pioggia e lo sciopero dei mezzi.
Per raggiungere gli amati Foals al Fabrique abbiamo attraversato Milano con lo stesso disagio di Cersei Lannister nella sua walk of shame (mettendoci comunque più tempo di lei per arrivare); dopo la mezz’ora più lunga della storia – in cui mentre la mia amica mi parlava del teen drama a puntate che stava vivendo, io guardavo molto preoccupata il tassametro che correva, pensando quale potesse essere il momento giusto per buttarmi dal taxi in corsa – arriviamo al concerto. Miracolo dei miracoli, come tutte le primedonne che si rispettino, i Foals non sono ancora sul palco. Perfetto, scegliamoci un pos-EHI GUARDA, VICINO AL BANCONE DEL BAR LA VISTA È PER-FET-TAH.
Inizia il concerto. Le luci si abbassano, il mare di gente inizia ad urlare ed è tutto bellissimo. Con le birre in mano ce la cantiamo, ce la balliamo, e non riusciamo a smettere di sorridere, è tutto perfetto, ti dimentichi tutto: la pioggia, il taxi, Milano che ogni tanto ti tratta male, le ore di sonno che non recupererai mai, le paturnie su te stessa, sugli altri. Non è il momento di pensarci. Tranne quando parte Spanish Sahara: non puoi controllare cervello e cuore, si fanno i cazzi loro, e tu sei lì, inerme.
I’m the fury in your head
I’m the fury in your bed
I’m the ghost in the back of your head
“Reggimi il telefono che vado un attimo a pogare”. Partono le adolescenti che sono in noi – ovviamente non prima di un’anzianissima fila in bagno – ed iniziamo a infilarci in mezzo alla gente, fino ad arrivare sotto al palco. L’amica delle birrette, 49 chili con le scarpe, decide di andare a pogare. Io ci penso per due secondi, poi ricordo i lividi delle ultime volte, e decido che no, non c’ho più il fisico. Vai gioia, io resto qui a saltare e cantare sotto il palco, perdendo ovviamente la voce.
Usciamo. Altro giro, altra corsa, altra macchina a noleggio che decide di non partire. E allora ci buttiamo disperatamente sulla Enjoy di sconosciuti al grido di “per favore portateci a casa”, finendo così a cantare Liberato facendocelo tradurre alla lettera (e io Liberato non lo sopporto nemmeno, ringrazio i Foals per l’armonia regalatami, mista a coraggio).
Un weekend milanese fatto di tutta la caffeina del mondo nel mio sangue, bicchieri di vino, cibo e abbracci, birre sotto la pioggia perché “ma quello non è un tetto, è un intreccio di piante”; treni persi per 3 minuti, biglietti comprati due volte senza alcun senso. E ancora pioggia, ancora abbracci.
Milano, io e te litighiamo spesso, non sempre ci capiamo, e qualche volta mi fai incazzare parecchio. Però sì, alla fine abbiamo avuto il nostro good fucking time.
On The Luna
Mountain At My Gates
Inhaler
What Went Down
Spanish Sahara
Lonely Hunter (menzione speciale per una delle mie preferite, che non è stata messa in scaletta – no, non sto piangendo, mi è entrata una trave di legno in un occhio).