Gita fuori porta con Arthur Gordon Pym
“Non è neanche lontanamente possibile rendersi conto del mio assoluto terrore.”
Ho visto le prime immagini di The Lighthouse, film di Robert Eggers presentato quest’anno a Cannes (lo conosciamo già per il cupo e preziosissimo folk horror The VVitch del 2015), ovvero quella che si intuisce essere la storia di due soli protagonisti, i guardiani del faro, che si trovano completamente isolati dal resto del mondo e a convivere dunque con la loro conseguente follia allucinata che collide perfettamente con l’inospitale ambientazione marinaresca (per il fetish nei confronti delle creature marine ingombranti ringraziamo Jules Verne e qualche esperienza non troppo lineare sui lidi liguri tra i 6 e gli 11 anni).
Le immagini che ho visto mi hanno suggerito di rispolverare un caposaldo dell’horror psicologico ambientato in mare che è, tra le altre cose, il classico libro che consiglierei di portarsi su un’isola deserta insieme a una massiccia scorta di sali minerali e della biancheria pulita.
A scanso di equivoci, non si tratta di una lettura che possa suggerire come sopravvivere in solitarie condizioni di irriducibile panico ed estreme privazioni e spaesamento, anzi, più che altro leggerlo può aiutare a familiarizzare – nel senso più doloroso e rassegnato del termine – con l’inevitabile terrore immobilizzante che l’essere abbandonati in balia di ripetuti eventi drammatici, che superano di gran lunga la soglia del nostro pur sconfinato spirito d’avventura, comporta.
Le avventure di Gordon Pym, l’unico romanzo pubblicato in vita da Edgar Allan Poe, è l’adrenalinico resoconto di viaggio – reale, ma per finta – del giovane Arthur Gordon Pym da Nantucket che, per assecondare la sua pruriginosa indole avventuriera, passa dall’essere “sepolto vivo” nella buia stiva della baleniera Grampus al fronteggiare lo sterminato biancore accecante dell’Antartide che, come ci insegnerà più tardi Melville, è l’esatto colore della paura.
Il diario di bordo di Gordon Pym, apparentemente un classico racconto di mare ma intriso di orrorifica suspence e sipari macabri, accosta violenti ammutinamenti, allucinazioni causate da un mix di iponutrizione e uno stato di panico costante, rovinosi naufragi, occasionali episodi di cannibalismo, navi fantasma, l’incontro con indigeni crudeli e il mito della conquista del Polo Sud che porterà il protagonista a raggiungere, suo malgrado, l’orrido (e indefinito) ignoto.
L’avventura si accompagna ai deliri della mente di Gordon Pym, inquieta e spesso fuori controllo – un po’ per naturale indole, un po’ a causa delle estenuanti circostanze – trasformando un diario di avventura, ricco di precise annotazioni a proposito della vita in mare e di verosimilmente dettagliate coordinate geografiche – si ispira infatti ai reali viaggi di esploratori come James Cook – in un resoconto onirico e simbolico nel quale ripercorrere la graduale discesa nella follia del protagonista che, nella sua narrazione, perde gradualmente linearità e razionalità.
Il viaggio di Gordon Pym è dunque il dettagliato riepilogo di un’avventura che non è andata esattamente secondo i piani, ma è soprattutto una lunga incursione dentro la testa di Gordon Pym e, di riflesso, nella testa di Poe. Si tratta dunque di un percorso a ostacoli che ha la forma di una ragnatela che va in decine di direzioni diverse e per inoltrarsi in luoghi come questi è necessario buttarsi alle spalle ogni bussola, totalmente inadatta al fine di arrivare sani e salvi a destinazione.
Obiettivo sempre auspicabile ma non garantito.
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Titolo | Le avventure di Gordon Pym
Autore | Edgar Allan Poe
Anno | 2017 (1838)
Editore | Feltrinelli
pp. | 244