Il Brasile è una finestra sul mondo. Bia Ferreira in concerto
In febbraio, mentre ero in Erasmus a Porto, mi sono ritrovato al concerto di Bia Ferreira al cinema Passos Manuel.
Un po’ è successo per caso, un po’ l’ho cercato: avevo voglia di fare un regalo a un’amica e al contempo mi andava di assistere a un concerto, per inebriarmi di quelle emozioni che solo uno spettacolo live può dare rispetto alle semplici canzoni registrate in studio e ai loro messaggi. Girando per Facebook mi è saltata all’occhio questa cantautrice brasiliana che proprio nel periodo della mia mobilità si sarebbe esibita nella città che mi stava ospitando, nell’ultima data di un tour europeo per pochi intimi. Ad accompagnarla in tour c’era Doralyce, altra cantautrice dallo spirito affine.
Fino al giorno del concerto ho cercato di afferrare i testi di Ferreira, per capire – almeno un po’ – in cosa mi sarei imbattuto; diverse volte ho dovuto chiedere l’intervento della mia amica: certe espressioni o termini non erano proprio facili da interiorizzare.
La canzone che ha portato al successo Bia Ferreira si chiama Cota não é esmola: scritto da lei, il pezzo mette in discussione la cota (o “quota” in italiano), la politica di riparazione in favore delle popolazioni schiavizzate durante la presenza portoghese in Brasile. Questa quota prevede che il 15% dei posti all’università sia riservato agli studenti negros e indígenas: secondo la cantautrice si tratta di una forma di carità, una forma di discriminazione sottile che prosegue e deve essere ribaltata. La discriminazione non è vittimismo.
Lo spettacolo di Ferreira è stato impostato come voz e violão, sia per dare spazio alla sua voce incantatrice sia per godere delle notevoli qualità da musicista della ragazza (splendido quando le parti cantate si alternano a pezzi eseguiti in beatboxing).
Bia non ha seguito una scaletta ben precisa ma ha improvvisato eseguendo canzoni dal proprio repertorio e invitando il pubblico a riflettere sull’attuale situazione socio-politica e le difficili condizioni nelle quali le minoranze si trovano a dover lottare per sopravvivere. Il Brasile di oggi come finestra sul mondo intero.
Da Diga não – grido contro il razzismo, i preconcetti e tutto ciò che è frutto dell’ignoranza – si è passati a De dentro do ap, critica a un certo femminismo bianco che spiega come la lotta per alcune donne non sia solo la rivendicazione dei propri diritti ma – anche e ancora – di tutte le possibilità negate a causa del colore della pelle. Il concerto si è avviato poi alla conclusione sulle note di Levante a bandeira do amor (bellissimo, quel testo: ame e que ninguém se meta no meio, porque amar não é feio, o feio é não amar) e con un notevole freestyle.
La mistura di funk e reggae accompagnata dalla carica e dall’ironia di Bia Ferreira riflette un vero impegno sociale e dà vita a uno spettacolo intrigante per il cuore e la mente di chi ne prende parte: impossibile rimanere impassibili.
Dopo grandi applausi abbiamo avuto la possibilità di scambiare qualche parola e ascoltare storie dalla viva voce di Bia (e farci una foto insieme, anche). Solo in quel momento ho notato che nella sala la maggior parte dei presenti faceva parte proprio di quelle minoranze di cui lei canta – perlopiù studenti venuti in Europa per semplice curiosità o in cerca di una vita migliore. Un’occasione per riflettere e aprire gli occhi su realtà che probabilmente non riusciamo a comprendere fino in fondo, non vivendole in prima persona: e la solidarietà può essere un buono strumento per iniziare a cambiare.
Attraverso questo viaggio ho avuto la possibilità di conoscere l’ennesima parte di un Brasile che, utilizzando come mezzo il ritmo e l’energia, riesce a dar sfogo ai propri sentimenti più profondi. Nel mezzo della serata stavamo tutti in piedi a ballare e cantare, ma c’era sempre un pizzico di rabbia nonostante la felicità. Eravamo pochi, ma sembravamo tanti: tutti intimi, tutti fiamme di un unico fuoco.
Francesco Galati
(Un ringraziamento a Fabiana. Continua a lottare)