Fenomenologia del dono della sintesi

Fenomenologia del dono della sintesi

La persistenza della memoria, Salvador Dalì.

Favole corte molto belle”. Cercalo in libreria, c’è un reparto apposito con un solo libro.

Non. Ho. Tempo. – Ho. Poca. Memoria. – Mi. Distraggo. Facilmente.

Deficit dell’attenzione/noia patologica + ho tempo di leggere più che altro solo durante brevi intervalli di circa 2,24 minuti mentre aspetto il solito (inserisci mezzo di trasporto urbano prediletto a caso)? Nessun problema: ecco una breve storia in formato poesia per un totale di 14 parole. 14 parole compreso un titolo di ben 2 parole. 12 parole di poesia, 2 apostrofi e 1 punto fermo. 12 effettive parole. Non ho neanche modo di capire come impostare la lettura ad alta voce, l’intonazione. Tutto troppo veloce. È già finita.

Se fossi ancora in seconda media e dovessi imparare una poesia a memoria, almeno questa volta farei sicuramente un figurone. L’enunciato è breve, non ho il tempo materiale da concedere al mio imbarazzo nel parlare in pubblico. È tutto finito prima che me ne renda davvero conto. *Sospiro di sollievo*. Mi aspetto che, dopo la mia breve performance, il mio pubblico si guardi ripetutamente negli occhi, a vicenda. Credo non sappiano bene che senso dare a quello che ho appena detto, ovvio. Bellissima sensazione. Io però guardo preferibilmente da un’altra parte. Rido.

3 versi. 3 secondi approssimativi per recitarla (per leggerla, 2 dovrebbero essere sufficienti).

La so già a memoria. Continuo a ripeterla più o meno all’infinito. Microstoria.

Utopia, René Magritte.

Ho decine e decine di interessi diversi. Da nessuno di essi sono in grado di attingere per imbastire una conversazione che duri più di 15/20 minuti. Neanche se mi fai più di 8 domande. Contemporaneamente. Giuro, ci ho provato più volte. Cosa dire quindi di 14 parole (di cui un titolo di ben 2 parole, 2 apostrofi e 1 punto fermo)?

Così poche minimali battute e così tanto-tanto bianco, vuoto, lasciato su una pagina sulla quale non hai idea di che appunti scrivere. Oltre all’evidente disappunto dovuto allo spreco visivo e materiale, c’è davvero un po’ di tutto: così, di getto, anche senza leggere tra le righe, tutto ha perfettamente un senso. Milano. Londra. Dopo averla letta, ci penserai, sicuro. Banale. Anche se ne hai solamente sentito parlare ma non ci sei mai stato. Hai visto qualcosa. I libri di storia. Anche se non ci sei mai davvero stato, fisicamente, neanche su quelli. Il telegiornale. Il posto fisso. L’apparato respiratorio. Dickens. Sì, anch’io non l’hai mai letto. Insomma, questa è una lunga innovazione culturale che attraversa decenni e si amplifica di giorno in giorno sopra le nostre teste. Tu cerchi di ridirlo in 12 + 2 parole sperando di essere quantomeno efficace.

Quello che c’è tra le righe, invece, è molto più personale quindi molto più universale. Il solito pensiero nostalgico. D’accordo. Un passato che con moltissima probabilità per te che leggi non c’è neanche stato. Non hai idea. Sei testimone, più che altro, del risultato. Respira. E i pomeriggi al parco. Una volta. Quando c’era ancora molto tempo libero da buttare.

Eccola:

Rivoluzione industriale

C’era un bel cielo azzurro e un’aria pulita

Prima

Fine.

cover

Titolo: Favole per bambini molto stanchi

Autore: Dente

Editore: Bompiani

Anno: 2015

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