COS’È I LOVE YOU HONEYBEAR CONCETTO E MUSICA: UN META-ALBUM SULL’AMORE
I Love You, Honeybear è un disco d’amore. Un disco d’amore sui generis, ok, mettiamola così.
Il punto focale del disco è il continuo ossimoro che scaturisce dall’accostamento del sentimento puro per eccellenza a comportamenti e situazioni che poco hanno a che fare con gli stilemi dell’amore classico cantato nelle canzoni.
Ne viene fuori una parodia autentica di un amore reale raccontata da un narratore poco credibile.
I primi 40 secondi del disco vi chiariscono immediatamente di cosa stiamo parlando: su una bella chitarra romantica accompagnata da degli archi romantici, attacca a cantare FJM
honeybear honeybear honeybear
mascara blood ash and cum
cucciolotto cucciolotto cucciolotto
mascara sangue cenere e sperma
Una scelta lessicale quantomeno insolita per il vocabolario di un cantautore che vuole essere marcatamente pop, che non può non colpire e divertire, specie se associata all’idea di quella che dal titolo e dall’arrangiamento musicale ci si aspetterebbe essere una melensa spremuta di cuore.
Tutto il disco si altalena su questo registro, ricco di barocchismi e giochi di parole, di riferimenti non detti, di misantropia e leggera precarietà: un campionario umano in cui trovare un amore così puro e complice sembra quasi impensabile e viene accolto a tratti con divertita sorpresa, a tratti con la consapevolezza di dover in qualche modo fare qualcosa per abbracciarlo, senza stritolarlo tra i propri non encomiabili vizi e le proprie stupide vanità. Un album sulla possibilità che ha l’amore di redimere e tirar fuori dal sacco personale di merda o diamanti nel quale piace sguazzare con noncuranza ad ognuno di noi.
Il concept del disco, quindi, facendo un passo oltre, non è tanto l’amore in sé, come sentimento, quanto piuttosto il dualismo chiusura – apertura, egotismo – condivisione; il percorso stesso di Josh Tillman, da cantautore folk introspettivo a caustico guru pop, sembra assecondare questo movimento di espansione.
“Per me, un modo per essere autentico è stato introdurre elementi di magia e distrazione. La retorica del cantautore che ha scritto il suo album più personale e confessionale è così limitante. Ho avvertito il bisogno di essere authentically fake.”
Ma non è solo una questione di personaggio, il riscontro si ha evidentemente nelle scelte musicali. Così dall’intimista accompagnamento acustico di J. Tillman si passa al maestoso intruglio di pop, rock anni ’60-’70, musica orchestrale, mariachi e radi inserti elettronici di Father John Misty. La ricercatezza musicale si accompagna alla ricercatezza lirica, e insieme si amano un po’, sconfessandosi a vicenda e restituendo alchemicamente un prodotto di facile ascolto, accessibile a tutti. John Lennon, Serge Gainsbourg e Jim Morrison, miscelati a 90 gradi coi capi colorati, assieme.
Ma è Father John Misty medesimo che mi evita il grattacapo di spedirvi una sua cartolina, definendo così il proprio genere: Post-modern Self-reflexive Semi-Ironic Renunciation of Originality.
Musica semplice e sofisticata insieme, musica popque (pop baroque), musica con l’occhiolino.
[…] Father John Misty | I Love You, Honeybear e un mucchio di altre panzane […]