Fast Animals And Slow Kids | È già domani, ora
mi hai detto aspettami
perché c’è sempre chi ti aspetta alle frontiere della vita
se conta ogni secondo
adesso conto fino a te
Si possono identificare tre momenti-chiave, nel percorso ormai decennale dei Fast Animals And Slow Kids, che quest’estate l’hanno celebrato con una serie di intensissimi live acustici in cui ne hanno ripercorse in ordine cronologico le tappe principali.
Il primo sta tra la pubblicazione dell’esordio Cavalli e la scrittura di Hybris: è lì che la band di Aimone Romizi (voce e lingualunga, empatia e crowdsurfing), Alessandro Guercini (chitarra virtuosa, songwriting accurato, timidezza memabile), Jacopo Gigliotti (basso plettrato da punk anni novanta e responsabile del tour bus) e Alessio Mingoli (batteria, seconda voce e, ho scoperto di recente, fischi), insoddisfatta della percezione della propria musica, fa un carpiato da un’ironia nervosa ma prescindibile a una serietà e una focalizzazione assolute. L’indie-rock di scuola anglo-americana che ne verrà fuori per i successivi tre album indipendenti sarà quanto di meglio, nel genere, sia mai stato pubblicato in Italia.
Sì: tra le liriche e i tuffi di Aimone, le sei-corde esondanti di Alessandro e una ritmica sempre vivace, con quei lavori i FASK si sono costruiti un seguito adorante, capace di riconoscere in un fare musica così fuorimoda una corrispondenza senza cuciture tra intenzioni e risultati, tra i musicisti che incendiano il palco e le persone che subito dopo ti aspettano al merch.
In un tempo di passioni tristi, di consapevolezza che azzera ogni trepidazione e layer comprensibili a bolle sociali sempre più ridotte, il quartetto perugino sceglieva di parlare a un pubblico di coetanei una lingua di cui è facile cogliere veracità e concretezza – non è possibile andare a un loro concerto senza rimanere travolti da un senso di collettività e appartenenza palpabile, che si nutre dello scambio continuo di energie fra band e pubblico.
È al termine di quel trittico ormai mitologico che arriva un’altra svolta, pietra della discordia per molti fan della prima ora – e, aggiungo, pure per critici musicali che sembrano non saper distinguere tra arrangiamento e composizione nemmeno dopo un ripasso veloce su Wikipedia. Animali Notturni esce nel 2019 per Warner: le undici canzoni abbassano i giri, tolgono la grattugia alle chitarre e svelano una vena pop dalle tinte jangle; le liriche sono sempre emozionali, ma più dritte, libere dall’ansia di sembrare. Come ascoltare il chiasso infernale della E-Street Band in Born In The USA e poi mettere sul piatto Tunnel Of Love: non automatico amarlo, ma chi mostra dedizione ne viene ripagato, anche al netto di qualche passaggio un poco meno denso del solito.
E arriviamo alle incertezze dell’oggi, che per un anno e mezzo hanno privato la macchina da canzoni dei FASK della più preziosa fonte di alimentazione: la propensione al confronto, il ristoro e la vitalità che vengono dallo stare in mezzo agli altri. Mi domandavo – già ai tempi del primo singolo – se questa stasi in un bozzolo sarebbe stata la più evidente influenza di È Già Domani, fuori per Woodworm; e invece no, i suoi quaranta minuti proprio non s’arrendono, al presente.
Non un ritorno al passato, ma nemmeno un altro salto nel vuoto; piuttosto, un’esplorazione coerente cacciata in una manciata di ritornelli corali, colorati. Rami tesi a salvare dalle sabbie mobili, fiaccole accese a cacciar via buio e fantasmi: a risplendere, in È Già Domani, è la meravigliosa enfasi – unica, donchisciottesca, tamarra il giusto – con cui i Fast Animals And Slow Kids provano ancora a far contare ogni secondo.
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se non l’avessi detto
io ero qui per te
se non l’avessi detto
non smetterò di credere
Certo, il cammino fino a qui non è stato privo di ostacoli. Di Come Un Animale, del suo caricare di epos springsteeniano una combinazione synth/chitarre da New Order, abbiamo già parlato a febbraio – recuperatevi anche il bellissimo video, passeggiata fra i pensieri di una mascotte Bojack Horseman-like che non si dimentica. Il problema è che di quel singolo mi pareva che la band non sapesse bene che fare: probabilmente per via dell’attesa di indovinare quando il futuro sarebbe rientrato nel novero delle possibilità – pensate a quando gente come i Fontaines D.C., così acclamata nel 2020, si troverà a dover portare in giro un bel disco rock che nessuno ricorderà più -, non capivo se quel brano preannunciasse altro o se invece avesse timore di alzare troppo la voce col rischio poi di rimanere deluso dalle circostanze.
Ad aprile, Cosa Ci Direbbe complicava ulteriormente le cose. La notizia di un feat con Willie Peyote non mi aveva entusiasmato – i preconcetti a volte salvano la vita -, ma a stridere era la realizzazione. Su una vivace base jangle-pop, principio d’autunno Housemartins riscaldato dalla dolce fluidità melodica degli arpeggi, le liriche mi risuonavano esili e l’inserto spoken di Peyote appiccicato al mix, la cadenza delle parole a far traballare il baricentro ritmico della canzone.
Col tempo ho finito per rivalutarla un poco, Cosa Ci Direbbe – “tre mendicanti di fronte alla porta di Dio / nascondiamo la chiave pensando: Dio sono io” non è roba che s’ascolti in radio tutti i giorni, e la progressione di accordi che l’accompagna è davvero intensa -, ma cinque mesi fa, all’uscita, una parte di me si è immalinconita come di fronte a un commiato senza rancori.
Niente di più sbagliato e provvisorio, com’è vero che una bella estate può riscattare un aprile piovoso. E da vecchio, il ricordo di questa che sta finendo avrà per me il tono romantico e trionfale di Senza Deluderti, singolo di scarso successo commerciale ma dal sound capace di spazzare via le nuvole.
Un duplice volto – ambientale prima, Arcade Fire poi – e una quantità di dettagli nascosti nel crescendo: una figura di pianoforte eseguita sottovoce, mentre le parole s’accendono (“io non mi butto giù / se non mi butti tu”); un riff di chitarra acustica che si aggiunge al tambureggiare di basso e batteria; una rullata che, come un direttore d’orchestra, ferma tutto e lascia alla voce il compito di chiamare lo sfogo elettrico. Inutile provare a resistere a quest’euforia comunicativa che ancora oggi è la firma più personale dei FASK: e la semplicità e la limpidezza di un’emozione buona sono ottime ragioni per desiderarne per sé ancora e ancora.
tieni con te gli istanti più neri
fissali in testa, così ci convivi
non resterà la traccia sul viso
ti guarderai e farai un sorriso
Ci vogliono cinque secondi, a È Già Domani, per agganciarmi: il tempo che uno sgocciolare di cielo lasci il posto alla piccola meraviglia acustica e sussurrata che dà il titolo all’album. Una magia in cui chitarra acustica, pianoforte e voce sembrano essere un corpo solo; inaspettata e timida come certi rossori Westerberg, pure facilmente associabile – per la pioggia e il fremito del cuore, se non per la forma – a quel gioiello di Piano Impreciso con cui i Fine Before You Came mettevano in musica i cieli grigi del lockdown.
Meno di due minuti e torniamo dalle parti dell’elettricità: Stupida Canzone esibisce il consueto tiro, questa volta con una presenza fisica molto più marcata di quanto avveniva in Animali Notturni – pensate a Cinema con questa produzione; c’è un gran lavorio di chitarre, un riff da primo post-punk incastrato perfettamente negli interstizi tra un battito e l’altro (ecco: questa è una lezione di scrittura pop-rock); il chorus, specialmente la reprise finale dopo il break, non è difficile immaginarlo intonato da migliaia di persone: “stringimi forte che non so che fine faccio”, tra fatica, incertezze e speranze a trent’anni. Probabilmente il brano più “singolabile” dell’album, ma il meglio arriva poco dopo, in rapida successione.
Dei War On Drugs, della loro Americana iper-melodica e in 4/4 permanente, si avvertiva forte l’eco già nel capitolo precedente: l’effetto è scintillante in Lago Ad Alta Quota, epica elettroacustica dalle dinamiche pronunciate – l’intro minimale in contrasto con l’esplosione del ritornello; il tocco di classe del bridge, pianissimo che ancora una volta fa da rampa di lancio per la chiusura. Un nuovo classico, e anche uno dei testi più poetici del lotto: le immagini di solitudine e malinconia evocate dalle liriche di Aimone fanno prendere corpo alla persona reale dietro il personaggio che raccontano, corpo sottile che si muove nel mondo senza che se ne avverta la presenza.
A ruota segue Fratello Mio: ruvida, circolare e frastornante, potrebbe perfino fare la gioia di chi si è fermato dalle parti di Alaska, con quell’assolo di sassofono che lega il primo coro alla seconda strofa. Certo, non distorcono più le chitarre come una volta, i FASK, preferiscono arpeggiare Gretsch, ma lo stomaco s’annoda comunque: si parla di guardare in faccia l’abisso, qui, di tirarne fuori chi ci sta a cuore e ci è finito dentro. E di dolori che non si possono cancellare e nemmeno dire, ma con cui si può solo tentare di convivere.
Dopo la doppietta di singoli, la pressione emotiva si abbassa: sul secondo lato Rave e In Vendita mettono in mostra un volto più divertito della band. I risultati non sono sempre memorabili, ma ogni pezzo di È Già Domani ha almeno un motivo per farsi ascoltare: il primo per un bel freakout ritmico – da silent disco più che da rave, diciamo, e con una goduriosissima figura di basso – che personalmente avrei preferito durasse almeno un paio di minuti in più, finalmente a briglia sciolta; il secondo per il modo in cui tiene insieme i modelli brit della strofa con quelli americani del ritornello, su un testo leggero ma piuttosto rappresentativo – riassumendo: il tempo come morte al lavoro e il bisogno di farlo fruttare al meglio finché c’è luce.
Di mezzo c’è Un Posto Nel Mondo, pronta a far esplodere i locali: “vorrei tu fossi i miei occhi per poterti guardare” è uno di quei cori che in altre gole suonerebbe come una posa; in queste suona solo vero.
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e allora io ci proverò
a fare finta che va bene
che non mi manca e non è infame
che chi concede poi richiede
In un disco dove tutta l’argenteria di casa è lucidata e messa in bella mostra con orgoglio, il finale non me l’aspettavo, ed è un ulteriore merito – se c’è un’unica cosa che vorrei in più dai Fast Animals And Slow Kids sarebbe proprio farsi prendere un po’ di più la mano dagli eventi, lasciando da parte il formato tre-minuti-e-mezzo in cui hanno già dimostrato di eccellere. Difficile ascoltare Portami Con Te senza farsi trascinare via da tutta la vita che sta dietro a quella malinconia tradotta in un midtempo jangling che pare un classico nascosto dell’indie britannico anni Ottanta – trovo commovente la sincronia tra il passo strascicato e le parole, accettazione lacrime agli occhi dell’inevitabile trascorrere di ogni cosa.
Chiude È Già Domani Ora, un’altra bella sorpresa e la chiusura del cerchio aperto con la title-track: la batteria programmata e l’interpretazione quasi parlata di Aimone, la sventagliata pazzesca del finale – chitarre e tastiere a far volume, ma sotto si agita una ritmica scalpitante che mostra chiaro l’ascendente di ascolti Factory e Madchester. Il presente è già futuro, il futuro è un punto interrogativo: ricomincia a piovere, solo più forte.
Ho visto l’ultimo live elettrico di Aimone, Alessandro, Alessio e Jacopo il 14 settembre 2019, in un’andata-e-ritorno Bologna-Perugia in solitaria – una di quelle mattane che spero di poter riprendere a fare, a un certo punto. Da allora è come se il calendario si fosse fermato, e mi rendo conto che già oggi, nei miei racconti e nei miei ricordi, 2020 e 2021 si confondono in una nebbia disorientata.
Sono stati due anni spaventosi, che per milioni di noi hanno significato abbandonare un modo di vivere che pensavamo un diritto acquisito e, più di tutto, dire addio a persone care – è successo anche alla mia famiglia, e Viola non la rivedrò più (“conto i giorni ed i minuti / non si aggiungono ai tuoi anni”). Ora che ritrovo come chiunque altro un’idea di strada e riprendo un passo abituale, sono felice che ad accompagnarmi ci sia un album così ricco e maturo dei Fast Animals And Slow Kids: ferito e pieno di domande come me, ma come me finalmente vestito da adulto e pronto a sgranare gli occhi di fronte alla meraviglia di un nuovo incontro.
Autore: Fast Animals And Slow Kids
Titolo: È Già Domani
Etichetta: Woodworm
Durata: 40’
Anno: 2021