Fare l’amore con la luce accesa | Motta

Fare l’amore con la luce accesa | Motta

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Tra le cose che più non riesco a sopportare al mondo – oltre ai menu brutti dei ristoranti e ai quadri storti nelle sale d’attesa – c’è quella di non sapere cosa dire, per poi essere preparata per quella conversazione sempre quando è già finita e quella persona è andata via; tu sei lì, sai che hai qualcosa da dire, qualcosa di non banale, qualcosa che varrebbe la pena ascoltare e invece niente. Il vuoto. Due frasi sterili, un bel luogo comune di quelli sputtanati, e via.

“Si possono spegnere queste luci, che sembra di fare l’amore con la luce accesa o poi rimaniamo al buio? No…? Ok ragazzi, stasera si tromba con la luce accesa”

Meno di 48 ore fa ero ad un concerto di Motta per la seconda volta in poco più di un mese, e di nuovo sorridevo in continuazione e le gambe si muovevano da sole. Tra rapporti troppo esposti, una corda della chitarra che soccombe a La fine dei vent’anni e non resiste, e una falena che finisce sotto il suo piede, Motta e il suo gruppo portano a termine un’altra tappa del tour, lasciandoci con occhi, orecchie e cuori felici. E una sigaretta in meno.

Succede che Motta ti si avvicini per chiederti di girarsi una sigaretta, e succede che nel passargli il tabacco, invece di pensare a cose sensate da dire, l’unico pensiero che ti sfiori le sinapsi sia “devo dirgli che ho le bravo, fanno schifo a tutti, glielo devo dire”. E così è andata.

Avrei voluto dirgli che la prima volta che l’ho ascoltato dal vivo ho spalancato gli occhi, che sono rimasta muta io, che parlo tanto, troppo e sto zitta solo nei momenti sbagliati; che le sue parole, quelle che fa correre veloci sugli strumenti impazziti, sono un pugno nello stomaco. Che quella dedica alle donne transgender (Sei bella davvero) ce la siamo rubata egoisticamente anche noi altre, etero, gay, donne della terra e donne dalla luna, perché in quelle scarpe giganti ci siamo state tutte: ci siamo sentite o ci hanno fatte sentire fuori posto, inadatte, nude ed esposte al giudizio degli altri; non abbastanza per qualcuno, non abbastanza donne, madri, mogli, amanti.

Avrei voluto dirgli che qualche volta, quando ascolto le sue canzoni penso ai progetti che provo a fare, al mio posto nel mondo che cerco e non ho ancora trovato, a tutte le volte che non mi sono perdonata un errore, al cuore che tira un sospiro di sollievo ad ogni siamo sporchi siamo umani/prima o poi ci passerà, perché ho imparato ad accettare di essere così, sporca ed umana, e che se questo non vuol dire sentirsi un po’ liberi, allora deve somigliarci parecchio.

Ma certe cose, ripensandoci, hai il coraggio di dirle solo quando la luce è spenta. E alla fine non ho detto niente, se non un banale “complimenti ragazzi, siete stati meravigliosi, grazie”.

Una cosa però l’ho imparata: che la luce sia spenta o accesa, non provate a dare una bravo a Motta. Al prossimo concerto avrò un pacchetto di cartine rizla in borsa, magari accompagnate da parole migliori. Promesso.

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