Fall foliage: Stati Uniti e Canada on the road
Questo viaggio era volto alla scoperta del foliage, il colore delle foglie d’autunno.
In realtà, come diceva il buon Pavese, “bisogna cercare una cosa sola per trovarne molte”.
E così è stato.
#Day1
Milano – New York City = 4016 miles
E’ il 19 settembre 2017, guardo fuori dal finestrino di un A380.
A farmi compagnia durante il volo ho scelto una guida di New York edita Taschen, consigliata per quando si giudica un libro dalla copertina, e un libretto di Paolo Cognetti di cui non riesco mai a ricordare il titolo.
Lo sbircio, mentre scrivo.
Giusto, Tutte le mie preghiere guardano verso ovest. È troppo lungo, continueró a dimenticarlo, ma lo consiglio lo stesso, perchè si tratta di un centinaio di pagine di vita vissuta per le strade di New York, soprattutto di Brooklyn, con i marciapiedi deserti e le fabbriche in mattoni rossi. E a raccontarle è uno dei miei scrittori contemporanei (milanesi) preferiti, che cita Malamud e ama la Brooklyn Lager, gira NYC in bicicletta anche a dicembre e al diner si prende un hamburger con doppio strato di monterey jack.
Mi piace Cognetti.
Mi piace la sua doppia anima, il bipolarismo che lo porta a trascorrere interi mesi all’anno in solitaria (o quasi) sulla cima delle montagne, per poi volare per altrettanti mesi a New York, dritto al cuore del mondo. In entrambi i casi, mi viene da pensare che preferisca vivere ai margini, intesi come estremi, della realtà.
E come biasimarlo.
Io torno a NYC dopo undici anni. Praticamente trovo un’altra città ed io sono un’altra persona.
Ma che meraviglia, ritornare.
Ancora seduta sull’aereo mi chiedo se Manhattan sia ancora il “centro del mondo”, ma immagino che sia davvero troppo presto per pretendere una risposta. Mi riprometto di cercarla nei prossimi giorni, insieme al buon proposito di non far passare altri 11 anni, la prossima volta.
Domani ci si sveglia presto: inizia il vero viaggio, on the road, verso il Nord.
#Day2
JFK New York City – North Adams (MA) = 181 miles
È solo una pausa veloce, il resto del viaggio ci aspetta.
Divanetti in pelle, ventilatore instancabile, bacon,egg&cheese sandwich a 8 dollari. Pranziamo in un diner nel cuore di Pleasantville (NY), una di quelle “carrozze ristorante” disseminate per gli States e diventate ormai emblema di una malcelata malinconia per l’età dell’oro ferroviaria.
Per la prima volta mi ritrovo al volante negli Stati Uniti.
Il mio battesimo inizia a Kent, nel Connecticut, e prosegue fino al capolinea, a North Adams, nel Massachusetts.
Ho la fortuna di iniziare a guidare su una delle strade più belle di tutto il New England: la U.S. Route 7 (US 7), una rassicurante highway con l’immancabile doppia linea continua arancione che si fa largo nel cuore di foreste colorate, parchi naturali e laghetti di svariate forme e dimensioni.
In ordine sparso di rilevanza, ho capito che le zucche per Halloween si comprano in questo periodo, ovvero con più di un mese di anticipo rispetto al 31 ottobre e possibilmente in stock; ho visto che esistono cartelli indicanti “attenzione, pericolo escursionisti”, senza apparente motivo; ho notato che i Covered Bridge sono belli (belli davvero, vedi il West Cornwall) e che le fermate dello school bus sono fosforescenti – forse per la nebbia, provo a indovinare – ma soprattutto realizzo che il cambio automatico andrebbe nominato patrimonio dell’UNESCO.
Prima di dormire penso: ma perchè la vita nelle cittadine americane finisce entro le 22.00?
Sarà mica legato al fatto che non hanno una piazza?
#Day3
North Adams (MA) – Stowe (Vermont) = 182 miles
È il 1999 quando una dismessa fabbrica tessile, sperduta in un angolo dimenticato del Massachusetts, viene trasformata in uno dei più grandi musei d’arte contemporanea degli Stati Uniti.
Nasce così il Massachusetts Museum of Contemporary Art (Mass MoCA), che si estende a North Adams per più di 30.000 metri quadrati, che quando lo leggi pensi “ok è tanto”, ma non sai davvero quanto, almeno finché non percorri i 6 building, ognuno composto da circa 3 piani di gallerie, almeno un caffè per building e ad occhio 158 kids area. Minimo.
La location è incredibilmente suggestiva, con decine di colonne di acciaio e i mattoni a vista, le scale antincendio e gli ambienti dismessi posti a convivere con la modernità più assoluta.
Le opere d’arte permanenti e temporanee sono disparate e creative, ci sono sale immense pronte ad ospitare spettacoli teatrali, installazioni fotografiche, rassegne di cinema e concerti live anche all’aperto. Scopro che l’anno scorso ci hanno suonato pure i The National, probabilmente la mia band preferita di sempre, e rosico un po’.
Non capisco l’arte moderna/contemporanea. Peró un giorno ho incontrato un artista romano che mi ha suggerito di smetterla di voler “comprendere” l’arte e di iniziare, invece, a sentirla, opera per opera, perché solo se trasmette emozioni allo spettatore l’arte ha raggiunto il suo scopo e “funziona”.
– È una via cognitiva quella dell’arte – diceva.
E questa spiegazione mi basta per decidere che l’installazione qui sotto mi piace e desidero condividerla. L’artista si chiama Spencer Finch e ha utilizzato 1.000 lampadine a LED per riprodurre una volta stellata indoor.
#Day4
Stowe – North Hero (VT) = 70 miles
“Fall is coming!” dicono tutti.
Accogliere l’autunno nel Vermont è una festa, una tradizione che si diffonde a qualsiasi contesto: ci sono i biscotti a forma di foglia d’acero, il cioccolato locale in barrette limited edition autunnale, ci sono decine di sagre a tema in ogni centro abitato e le immancabili pumpkin (quintali di pumpkin) su ogni patio o davanzale delle farm e delle case.
Quest’anno, però, il fall foliage si fa attendere: fa ancora molto caldo, quindi i colori sono tra i più vari, mille tonalità di verde, di arancione, di giallo e solo qualche sparuto ciuffo di rosso. Sono giornate splendide, rimetto il maglione in valigia ed esco in maniche corte verso il Lake Champlain.
Sulla strada, l’interstate highway 89, incontriamo decine e decine di cartelli stradali che ci mettono in guardia dall’attraversamento di animali selvatici. L’aspetto curioso è che ogni specie viene ritratta con il rispettivo disegno stilizzato: troviamo i cervi, troviamo le mucche e persino le tartarughe (giuro!), mentre quando si tratta dell’alce non si trova il suo disegno, ma la semplice scritta “MOOSE”, a caratteri cubitali e spesso accompagnata da inquietanti cartelli integrativi tipo “Stay alert” o “1 mile next”.
E il dubbio mi attanaglia: ma è discriminazione o, come me, non sapevano da che parte iniziare a disegnare un alce?
#Day5
Stowe (Vermont) – Drummondville (Québec) = 227 km
Lasciamo il Vermont con un accenno di fall faliage. Nelle prossime settimane sarà ancor piùstrepitoso, beati loro!
Mia madre, prima di partire: “Prendi su il piumino che in Canada fa freddo!”.
Scendo dalla macchina appena arrivata in Canada, guardo il cruscotto: 31ºC.
Ah, il buon vecchio climate change!
Se potete saltare la tappa Drummondville, saltatela. Non me ne vogliano i drummondvilliani.
Noi dovevamo necessariamente fare una sosta per evitare di viaggiare di notte.
Prima di attraversare la frontiera per il Canada, però, appena lasciata Stowe, vi consiglio di fare una visita a Montpelier nel Vermont. Attenzione perchè questa “Montpelier” ha una sola “l”, mentre le ben più famose omonime – con doppia “l” – si trovano una in Canada e una in Francia, tanto per disseminarne qualcuna in giro.
#Day6
Drummondville (Québec) – Québec City = 142 km
E’ la mia prima volta in Canada, sono emozionata.
Abbandoniamo la highway e raggiungiamo Trois-Riviéres, cittadina divenuta celebre per la produzione della carta e per essere sede di un grande monastero delle monache Orsoline. Sconsiglio francamente la visita di quest’ultimo: risparmiate cinque dollari (che sono tipo 10 Goleador, vi ricordo) e una buona dose d’angoscia, ma, soprattutto, è più bello da fuori. Principalmente perchè ci sono tanti scoiattoli nel giardino.
E una marmotta.
Trois-Riviéres è il nostro punto di partenza per Le Chemin du Roy, che ho cercato su Google 4 volte per capire come si scrivesse e alla fine ho fatto copia/incolla.
In ogni caso, è una strada storica che costeggia il fiume St Lawrence per quasi 280km fino a Québec City. La cosa più bella è che Le Chemin du Roy (di nuovo, CTRL+C, CTRL+V) è disseminato di ville, villette, casette private bellissime ognuna con il proprio sbocco sul fiume, con tanto di patio e seggioline rivolte all’acqua per godersi il panorama.
Qui sopra, nella foto, si puó ammirare un esemplare di casetta in Canadà a Champlain, amena località di 1600 anime e parte dei “Most Beautiful Villages of Quebec Association”.
#Day7
Québec City = 12,4 km (a piedi)
Québec City è la prima vera città canadese che visito e trovo conforto negli stereotipi europei: la percezione di elevata qualità di vita è immediata. I parchi non si contano, i contanti non sono necessari, il wifi pubblico si trova quasi sempre e le biciclette sono forse il mezzo migliore per girare la città.
Quando invece il wifi è off (di rado, ma succede), riscopro che è bello prendere in mano una cartina per muoversi attraverso la Lower Town, la zona più antica, che offre mille scorci dello Château Frontenac, simbolo della città.
Imparo che in Canada si mangia decisamente bene, contro ogni pronostico, che in questi giorni c’è il Québec Film Festival, che i punti di informazioni turistiche sono efficientissimi e che qualunque persona si incontri è bilingue (francese-inglese). Consiglio di cuore una visita al Morrin Centre che nasce come carcere militare nel 1700 e viene poi trasformato nel primo English-language college della città. Oggi è sede della Literary and Historical Society of Quebec e la biblioteca è una figata atomica, per farla breve.
Curiosità del giorno: le bottigliette d’acqua sono di 591 ml.
#Day8
Québec City – Montréal = 255 km
Per la prima volta da quando è iniziato il viaggio, scegliamo di fare la strada più rapida. L’Autoroute 20 ci porta a Montréal in circa 3 ore: il limite massimo di velocità sulle autostrade canadesi è 100km/h. Inutile dire che penso di aver vinto almeno 56 multe.
Su Montréal ho aspettative elevatissime: scruto qualsiasi passante nella speranza di incontrare Xavier Dolan o, quanto meno, Barney Panofsky.
Non succede.
Ma domani riprovo.
Nel mentre, su consiglio prezioso di un vecchio amico ritrovato per caso a Montréal, ho la fortuna di ammirare uno spettacolo di luci meraviglioso all’interno della Basilica di Notre-Dame (sì, ce n’è una anche qui).
Vi aggiungo il video qui sopra, lo spettacolo si intitola “AURA”.
#Day9
Montréal = 13,7 km (a piedi)
Dopo quattro anni ritrovo Marcelo, un caro amico brasiliano conosciuto in Bangladesh e trasferitosi poi qui a Montréal. Mi sorprendo a benedire mentalmente la globalizzazione.
Parlando con lui capisco che Montréal ha poche attrazioni turistiche nel senso canonico del termine, ma che è una città meravigliosa dove vivere: molte persone la scelgono per il costo della vita (molto più basso di Vancouver o Toronto), altri perchè ci si puó stabilire in una dimensione umana senza dover convivere con il caos di NYC, altri ancora perchè sembra avere un’anima giovane e dinamica: MTL è una delle città più tecnologiche al mondo.
Marcelo dice che qui “ognuno puó trovare il suo posto” e sorrido pensando che nel mio piccolo è esattamente quello che penso di Milano.
Il roadtrip è quasi finito.
Tra poche ore si vola a New York, è tempo di ritornare tra le pagine di Cognetti.
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#Days 10-14
#NYC = 66,7 km (a piedi)
Ultimi tre giorni a New York.
Ma come si fa a parlare di New York?
Mi rifugio nuovamente nelle parole di Paolo Cognetti, fedele compagno di questo incredibile viaggio: “A me del mercato immobiliare newyorkese è sempre piaciuto questo: che per colpa sua la storia urbana di ciascuno sia una peregrinazione di casa in casa, di quartiere in quartiere, inseguendo o sfuggendo le mode, come a scrivere e disegnare, insieme alla propria biografia, la propria mappa della città.”
E questa è Empire Line: https://open.spotify.com/track/1MLheFHpjzN0p1r1uQi05C…
Disclaimer: tutte le fotografie presenti nell’articolo sono state scattate da Francesca Bianchi con Nikon D90 o con iPhone