Eugenio Montale, A Galla (da “Poesie Disperse”, 1919)
“Chiari mattini,
quando l’azzurro è inganno che non illude,
crescere immenso di vita,
fiumana che non ha ripe né sfocio
e va per sempre,
e sta – infinitamente.
Sono allora i rumori delle strade
l’incrinatura nel vetro
o la pietra che cade
nello specchio del lago e lo corrùga.
E il vocìo dei ragazzi
e il chiacchiericcio liquido dei passeri
che tra le gronde svolano
sono tralicci d’oro
su un fondo vivo di cobalto,
effimeri…
Ecco, è perduto nella rete di echi,
nel soffio di pruina
che discende sugli alberi sfoltiti
e ne deriva un murmure
d’irrequieta marina,
tu quasi vorresti, e ne tremi,
intento cuore disfarti,
non pulsar più! Ma sempre che lo invochi,
più netto batti come
orologio traudito in una stanza
d’albergo al primo rompere dell’aurora.
E senti allora,
se pure ti ripetono che puoi
fermarti a mezza via o in alto mare,
che non c’è sosta per noi,
ma strada, ancora strada,
e che il cammino è sempre da ricominciare.”
Passeggiavo a volto coperto intorno agli isolati della città vuota, temendo di superare il valico non disegnato dei duecento metri di distanza dalla mia abitazione. Contavo i passi, entro l’ondivago andamento delle mie emozioni, preoccupato; in lontananza qualche sirena d’ambulanza e nulla più. Il sole mi abbagliava nella sua sconcertante bellezza e foglie d’alberi appena nate s’imbiancavano di luce, così come si addice alle prime giornate di primavera.
Una donna abbastanza giovane, con un cane di grossa taglia al guinzaglio ed il cellulare all’orecchio, passeggiava, assorta, dall’altro lato della strada. Diceva animatamente a qualcuno di stare in casa e che sì, c’era ancora troppa gente, lì, per la via. Avvolta nella deprecazione telefonica di se stessa scivolava dietro l’angolo, tra l’ennesima pisciatina svogliata di Nerone e lo sguardo attento del vicino, severo censore dal tinello al quinto piano.
C’era quel silenzio serale dei primi caldi in Veneto, Milano come un contenitore vuoto, l’eco dei grilli, che in lontananza cantavano dai parchi e di cui si percepiva la presenza, nonostante il solo cemento fosse la vista diretta dal terrazzo condominiale.
Poi, d’un tratto, di nuovo la corsa dei clacson ed i marciapiedi di mascherine, il fiato corto dell’aria inquinata; l’infinita diffidenza dei volti ed il sospetto che tutto cambi per non cambiare mai.
La postilla, scritta in fondo e in piccolo, è “Correre”, non importa dove o come, con l’aleatorio in bocca al lupo del fato.
Destino cupo di una comunità umana che non ha ben capito dove stia andando a parare.
Titolo | Altri versi e poesie disperse
Autore | Eugenio Montale
Editore | Mondadori
Anno | 1981