Errementari e Apostle, ovvero passare Halloween su Netflix

Errementari e Apostle, ovvero passare Halloween su Netflix

Pare che quest’anno Netflix ci voglia fare alcuni regali per Halloween. E cominciamo con alcuni punti saldi: la maggior parte della produzione originale Netflix non vale la pena di avere un abbonamento e neppure di cercare siti di streaming più o meno legali. Mi riferisco principalmente ai film, campo in cui Netflix non ha ancora del tutto sfondato per varie ragioni che non elencheremo qui (acquisto di prodotti minori che non trovano un distributore ecc). Pochi sono i titoli che meritano di essere visti e, solitamente, non sono quelli che vengono sbandierati sui cartelloni pubblicitari nelle metro (Annihilation, mi senti?). È quindi piacevole trovare, di tanto in tanto, un titolo che valga la pena di essere visto. Non parlo di capolavori, ma di un paio di film piacevoli nel complesso. E casualmente entrambi di stampo horror e tematica religiosa. La religione, inoltre, non è l’unica cosa che li accomuna, tuttavia.

Il primo è il recentemente uscito Errementari, produzione “horror” basca. Più che un vero e proprio film horror, si tratta di una fiaba che mescola molti ingredienti della cultura popolare e del folklore. I Paesi Baschi sono, per conformazione e tradizione, ambiente e pabulus perfetto per la fioritura di leggende e folklore. Anche in questo caso, l’ambientazione geografica e storica riesce a creare il giusto palcoscenico psicologico per imbastire la storia folkloristica che vede protagonisti un fabbro, una bambina ed il diavolo in persona (in realtà solo un demone minore, ma non facciamo i sottili).

Bisogna superare la prima sequenza, che ci permette di entrare nell’ambientazione storica, perché tratteggiata con regia e recitazione tipiche di quelle soap opera spagnole o sudamericane, con colori saturi ed espressività eccessivamente marcata. Ma vi siete bevuti tutto La Casa de Papel gridando al capolavoro (e no, non lo è; ma ha avuto il merito di far conoscere al mondo “Bella Ciao”), quindi non sarà certo un problema. Dopodiché il film scorre via piuttosto liscio, guidato dalla recitazione della piccola protagonista, senza dubbio la migliore interpretazione del film. La maggior parte dei personaggi, infatti, risente di un tratteggio macchiettistico e di quella recitazione da soap di cui sopra.

Ovviamente finisce malissimo
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Il film si muove in una zona estremamente sottile fra la fiaba adatta a tutti e l’horror e, come in altri casi analoghi, non sempre trova la sua giusta collocazione. Una uccisione piuttosto truculenta nella prima parte, ad esempio, ci fa pensare che il film possa diventare un prodotto horror esclusivamente per adulti, ma poi questa strada viene rapidamente abbandonata in favore di una più sobria messa in pratica della storia. Tuttavia, questi tentennamenti non inficiano particolarmente la fruibilità di una storia che nasce e cresce come fiaba. Discorso analogo si può fare per la figura del Diavolo, che passa in poco tempo da abile tentatore a macchietta a tratti umoristica e a tratti patetica. Sono aspetti questi che affondano le radici nella letteratura da cui il film prende spunto, mescolando folklore locale, leggende e fiabe “educative”.

Nessuno spavento, intendiamoci, nessun colpo di scena straordinario, ma un piacevole passatempo. Tanto piove e non potete fare “Dolcetto o scherzetto. E poi siete vecchi. Davvero. Smettetela.

Il secondo film che recentemente Netflix ha deciso di rilasciare si chiama Apostle. Vi giuro, avevo aspettative davvero alte. Perché il regista è Gareth Evans, che ha diretto The Raid e The Raid 2, capaci di rilanciare i film di arti marziali verso nuove, strepitose vette. Mi aspettavo faville dal regista, sebbene alla sua prima prova su un film horror. Mi ha in buona parte deluso. Forse è colpa della “maledizone Netflix” che colpisce tutti i bravi registi che vi si affidano come distribuzione?

Datemi una A!
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La storia è relativamente semplice e già vista: su un’isola isolata (ma va?) è cresciuta una setta e un problematico (ma no?) protagonista viene inviato ad investigare sulla scomparsa di una fanciulla, in questo caso sua sorella. Se la trama vi sembra quella di The Wicker Man, avete proprio ragione. Ma riuscire a realizzare un film come l’originale del 1973 è cosa ardua e già il vecchio Nic Cage ci aveva provato, con risultati a dir poco insoddisfacenti. Gareth Evans crea un discreto thriller nella prima parte, sorretto dalla recitazione di alcuni ottimi attori, primo fra tutti Micheal Sheen nei panni del Profeta Malcolm. La seconda parte, invece, si perde nei meandri di un repertorio horrorifico già visto, con diversi buchi di trama e cose non spiegate. Non basta un timido accenno al Ramo d’Oro di Frazer (una divinità degli alberi a cui vengono compiuti sacrifici) per permettere alla trama di decollare e quel poco di suspence ottenuta nella prima parte si perde in un paio di scene inutilmente trucide ed in un cattivo inutile e basta. Nonostante questi grossi problemi, la regia di Evans è sempre piuttosto brillante e pregevole, senza tuttavia quei guizzi di genio che avevano caratterizzato i due The Raid. E senza combattimenti veri. Dannazione, Gareth, fagli dare due pugni ai tuoi personaggi!

Come dicevo in apertura, un’altra cosa accomuna i due film (e molti altri film horror negli ultimi anni): l’assenza di paura. Salvo qualche momento di suspence, non ci sono veri spaventi né tantomeno sobbalzi in entrambi i film. Neppure quella sottile inquietudine che ci fa uscire dalla sala cinematografica con aria guardinga. Per qualche ragione, molti film horror hanno abdicato alla paura, che veniva considera un loro aspetto fondamentale e specifico. Non tutti, abbiamo delle nobili eccezioni (vedi il recente Babadook), ma molti. Può, dunque, esistere un genere horror senza la paura?

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