Ci vuole (sempre) un fiore. Quando Endrigo incontrò Rodari
Ci voleva tutta la delicatezza di Sergio Endrigo per riuscire a dare il suono perfetto alle parole di Gianni Rodari.
Come sia entrato nel mio cuore non l’ho ancora capito: sarà forse quell’intimità che percepisco nel momento in cui metto le cuffie e sento la sua voce. Un uomo reale nei sentimenti, onesto nei rapporti, gentile e furibondo, semplicemente vero. Sergio Endrigo per me rappresenta quell’amico che vorrei, una persona capace di parlare nei momenti in cui mi va di stare in silenzio, capace di farmi riflettere ed emozionare attraverso una semplice vibrazione.
Complice della sua sensibilità è stata probabilmente un’adolescenza vissuta in qualità di immigrato tra Brindisi e Venezia, portandolo a raggiungere una delicatezza unica. Come diceva l’amico Vinicius De Moraes, “a vida é arte do encontro” e attraverso questo vivere, Endrigo si è contornato di un’incredibile arte: da Bacalov a Bardotti, dallo stesso De Moraes a Toquinho, dal genio Morricone a tanti altri personaggi di un certo spessore. Una vicinanza non semplicemente intellettuale ma anche abitativa: a parte i due brasiliani citati, gli altri vivevano in un complesso di villette fuori Roma.
In ogni canzone ho trovato amore, l’amore corrisposto a un peso ben definito. Le parole hanno una propria responsabilità, bisogna saperle dire e cantarle, in questo caso. Insomma: a ognuno il suo mestiere, l’importante è che sia colmo d’amore. Lo stesso Endrigo diceva con molta umiltà: “Io faccio un mestiere come un altro. C’è chi fa l’avvocato, chi l’imbianchino, io canto e questo voglio fare”.
Il mestiere del cantante può essere sinonimo di un forte egoismo, ma spesso è anche legato a una grande generosità in grado di avvolgere chiunque. Mi torna in mente l’impegno nel voler valorizzare la musica per bambini: musicare dei testi scritti da Gianni Rodari assieme a Luis Bacalov, per ridare a questo genere la forma amorevole persa a causa di un progresso troppo impegnativo per le persone ordinarie.
L’idea nasce da un grande confronto tra Endrigo e Rodari, nel 1974, ma forse l’origine trova radici un po’ più profonde, nel 1972 con il precedente lavoro firmato dal branco mais preto do Brasil (Vinicius De Moraes), L’Arca, un insieme di brani realizzati dal poeta brasiliano e interpretati da più personaggi italiani.
Ci vuole un fiore, titolo dell’album in questione, è un lavoro colmo d’amore.
Come un film che ha modellato la nostra infanzia questo è stato lo stesso per tante altre generazioni. L’immagine di un fiore in grado di mobilitare l’interno universo è straordinariamente reale, la natura è effettivamente il nostro punto d’inizio e di fine. In un periodo storico come questo in cui la pandemia dovuta al COVID-19 ha fermato il genere umano, abbiamo potuto osservare la forza, normale, con cui la natura (le piante in primis) si è ripresa gli spazi che le appartengono, lasciando molto stupore specialmente alle persone che vivono nelle realtà più industrializzate. Ora, come allora, il lavoro di Endrigo suona attuale.
Pensiamo a Il signore di Scandicci (come gli altri amici e parenti toscani) che ci insegna «Tanta gente non lo sa, non ci pensa e non si cruccia, la vita la butta via e mangia soltanto la buccia». Probabilmente è proprio l’apparenza che viene insegnata ai bambini, un’apparenza chiaramente senza sostanza, senza valore emotivo. I bambini che vivono in città non conoscono proprio bene neanche la natura: la televisione è l’unico filtro in grado di mostrarla. L’enfasi utilizzata da Endrigo per interpretare i colori di ciò che descrive ne Ho visto un prato, è piena di realtà espressa attraverso un linguaggio consono ai bambini ed agli adulti più sensibili.
Ed è così che i bambini vengono sottoposti a regole ferree, ad una disciplina forse troppo prematura per l’età che hanno: «respirava se aveva il permesso», Il bambino di gesso. Una contestazione a quei genitori così occupati dal lavoro o dai propri svaghi che hanno bisogno di disciplinare i figli al fine di garantirsi una maggiore libertà nella vita extrafamiliare.
Non uno ma ben tre geni hanno traslato concetti modesti quanto genuini attraverso una semplicità portentosa. Per comprendere il sincero impegno degli ideatori basta soffermarsi sull’aspetto fisico dell’LP: al suo interno erano presenti degli spazi pensati per la creazione di idee ispirati alle canzoni stesse. Il tutto doveva poi essere spedito a un concorso per le scuole, indetto dal settimanale Corriere dei Piccoli (rivista settimanale di fumetti pubblicata dal 1908 al 1996), con un regolamento ben preciso riportato sempre all’interno della copertina.
Questa è la dimostrazione di come quando viene impiegato l’amore, è possibile far nascere e maturare di tutto, addirittura le persone dai cuori più rocciosi. Ci vuole un fiore per capire la bellezza della vita, per comprendere il ciclo di quelle realtà apparentemente inanimate ma che “ogni giorno, raccontano segreti a chi le sa guardare e a chi le sa ascoltare”. Questa può essere l’occasione di ripensare ad un’educazione sentimentale; non dobbiamo voltare pagina ma riprendere dal capitolo dalle cose semplici e vere, dall’introduzione se necessario, per poter tornare a vivere della grandezza che ci circonda.
Titolo: Ci vuole un fiore
Musiche: Sergio Endrigo, Luis Bacalov
Testi: Gianni Rodari
Etichetta: Dischi Ricordi
Anno: 1974
Francesco Galati