Ecco perchè l’Eras Tour di Taylor Swift è molto più di un concerto
And I don’t know why
But with you I’d dance in a storm una Milano afosa di Luglio,
In my best dress
Fearless
Quando mi hanno chiesto di scrivere una breve recensione del concerto di Taylor Swift a Milano, ho sentito una morsa allo stomaco mista tra gioia e perplessità: è una buona idea chiedere a una swiftie di vecchia data di commentare il concerto dei concerti? Potrò mai essere breve?
Sono arrivata a San Siro da sola, nel mio best dress, e come me migliaia e migliaia di swifties provenienti da tutta Italia, con una non indifferente quota internazionale.
Sono rimasta subito sorpresa dalla piccola grande famiglia che si è creata su quel Pit, sotto il sole rovente di una Milano improvvisamente estiva di metà luglio: dallo scambio dei friendship bracelets a quello di bustine Polase e barrette proteiche, ipotizzando teorie al limite del complottistico su Reputation TV, intonando canzoni per ingannare l’attesa.
Da sempre (sì sono una swiftie letteralmente da sempre, ndr) mi sento ripetere che Taylor Swift non è famosa in Italia, o comunque non abbastanza rispetto alla maggior parte dei paesi anglofoni, eppuredalla prima all’ultima nota di treoreequindiciminuti di canzoni no-stop, San Siro si è abbracciato in un unico grande coro, parola per parola, senza mai perdersi neanche nei testi più complicati, lunghi e impegnativi (vedi All Too Well 10 minutes version).
In quelle treoreequindiciminuti Taylor fa quello che le riesce meglio: creare una connessione emotiva con i fan che nessuno come lei è in grado di allacciare. San Siro risponde alla grande, tra l’intammontabile “sei bellissimaaa” alla standing ovation di Champagne Problems che le costa qualche lacrima di commozione (avevamo un conto in sospeso con Zurigo).
L’Eras Tour è una macchina perfetta, studiata in ogni minimo dettaglio dal genio travestito da ragazza un po’ goffa della porta accanto che canta dei giorni adolescenziali di Fearless e Speak Now, che sa trasformarsi in un serpente nella Reputation era, farti perdere nel liricismo di FolkorEvermore, saltando tra le hit più pop della sua carriera in Red e 1989, per finire nelle contraddizioni di Midnights e TTPD, dove mette in scena col sorriso e tra gli applausi del pubblico la parodia di se stessa e della depressione sofferta durante la Leg americana del tour lo scorso anno.
Non vi parlerò delle doti canore, delle intepretazioni voce/piano – voce/chitarra, della battutine e delle risate con il pubblico (“col cazzo!”, cit.)… tik tok è pieno di questo (e per i millenial come me anche instragram)… voglio lasciarvi con la madre di una ragazza francese che ha fatto 7 ore di fila per accompagnare la figlia sedicenne fino all’ingresso per poi aspettare fuori allo stadio perché due biglietti vip costavano troppo, dei fan che sono rimasti a cantare a squarciagola fuori dallo stadio marciando su the smallest man who ever lived, del fidanzato scettico della ragazza accanto a me che non ha resistito quando è partita shake it off, al terzo anello strapieno (inclusi i posti in visibilità limitata) che sembrava un altro parterre.
In fondo, l’Eras Tour è una seduta di terapia di gruppo in cui cantando di amori persi, paure, segreti e ferite più o meno rimarginate, ti scopri parte di una grande famiglia, mentre guardi incredulo, l’anti-diva cantautrice dalle radici musicali Country del Tennessee consacrarsi come la Pop Star destinata a restare nella storia.
FC