Dylan Dog e il remake del mitico numero 1

Dylan Dog e il remake del mitico numero 1

La nuova alba dei morti viventi

Era da un poʼ di tempo che noi fan del famigerato indagatore dellʼincubo aspettavamo lʼuscita in edicola del remake del numero 1 della collana, “Lʼalba dei morti viventi”, sapientemente anticipata sui social dallʼeditor Roberto Recchioni qualche mese fa. Finalmente il 22 luglio la nostra attesa è stata premiata quando, in allegato alla Gazzetta dello Sport, abbiamo potuto acquistare questo albetto di 36 pagine interamente a colori intitolato “La nuova alba dei morti viventi”. Si tratta di un numero 1 a tutti gli effetti, poiché è la prima uscita della collana “I colori della paura”, che uscirà in allegato alla Gazzetta dello Sport tutte le settimane e che conterrà le ristampe di tutte le storie pubblicate fuori collana nella serie “Dylan Dog Color Fest” edite in un nuovo formato più grande dellʼoriginale e accompagnate da copertine nuove di zecca.

La storia è firmata da Recchioni alla sceneggiatura, Mammucari ai disegni e Leoni ai colori. La coppia Recchioni-Mammucari, sebbene inedita per la testata DYD, vanta di unʼestesa collaborazione soprattutto per quanto riguarda un altro titolo della Bonelli, “Orfani”, in edicola ormai alla seconda stagione. La collaborazione, infatti, funziona molto bene. Nelle tavole non prevale mai la parte scritta sul disegno o viceversa ad eccezione delle pagine in cui lʼingombrante voce fuori campo, protagonista dellʼepisodio, prende il sopravvento e rallenta eccessivamente, a mio parere, il ritmo della narrazione. La classica griglia a 6 vignette viene gestita in modo nuovo per la testata, dando spazio a vignette più grandi che rendono merito ai bei disegni di Mammucari.

L'orrore...

Grandi assenti di questo remake sono le “chine alla Bonelli”. Sebbene i colori funzionino, e tecnicamente io non sia in grado di fare commenti a riguardo, trovo che le tavole meglio riuscite siano quelle ambientate nel laboratorio di Xabaras, in cui le campiture nere prevalgono e addirittura deformano i visi e le espressioni. Negli albi in bianco e nero, infatti, una buona parte dellʼatmosfera, che da sempre caratterizza le storie dellʼindagatore dellʼincubo, è data proprio da questo particolare stile di inchiostrazione, dove grandi ombre completamente nere dominano le tavole.

Stupisce la scelta di inserire il remake del numero 1 in una collana di storie brevi. Gli autori sono stati infatti costretti a trasformare una storia originariamente di 98 pagine in una di 34 pagine. E non è stato un cambiamento senza vittime. Sebbene il nucleo della trama sia rimasto pressoché invariato, con scene e battute riprese in modo fedele dallʼoriginale, a farne le spese sono soprattutto quelle parti di contorno non fondamentali per lo svolgimento della narrazione, ma che rendono unico e insostituibile il numero 1 di SclaviStano. Il personaggio di Dylan Dog perde moltissimo in profondità e in generale tutta la storia risulta sia meno angosciante sia meno interessante, perchè la ricchezza di citazioni dellʼoriginale viene quasi completamente sacrificata (incredibile a dirsi in una sceneggiatura di Recchioni). Fa riflettere il fatto che a parlare in prima persona sia la custodia del clarinetto, ovvero “lʼoggetto meno interessante della composizione”, che al contrario alla fine si dimostra “non essere affatto quello che sembra” e che letteralmente farà saltare in aria tutto quanto; è semplicemente un espediente narrativo o pu rappresentare una qualche metaforica dichiarazione di intenti da parte dello sceneggiatore/editor?

Viene da chiedersi se questo nuovo formato scelto per il nuovo numero 1, inedito per la testata, sia il risultato di una precisa e studiata strategia editoriale. Nellʼambito del rinnovamento che stanno subendo le collane dedicate a Dylan Dog mi sembra evidente che questo remake rappresenti il tentativo di raggiungere una nuova fetta di lettori, quella dei giovanissimi e degli adolescenti, mentre lʼoriginale era dedicato ad una fascia decisamente più adulta. Sotto questʼottica la scelta del formato, del ridotto numero di pagine, della struttura stessa delle tavole e anche dellʼuso del colore assume più senso in quanto decisamente più appetibile per un pubblico che sta imparando a conoscere i fumetti supereroistici americani grazie al boom dei film dedicati ai supereroi. Tuttavia, questa soluzione non pu che risultare deludente per noi appassionati lettori di Dylan Dog (per quanto mi riguarda, almeno, Dylan Dog è praticamente una tradizione di famiglia) che al contrario aspettiamo da anni un “ritorno alle origini”, che per altro, a ben vedere, forse è fin troppo anacronistico in un mercato, quello del fumetto, in crisi da anni.

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P.S. Un ultimo commento sulla copertina disegnata da Carmine Di Giandomenico e colorata da Luca Bertelé. Dylan fa di certo una bella figura con la pistola fumante in mano e la donzella fra le braccia. Ma rimane un importantissimo quesito irrisolto: chi diavolo è la bionda palestrata?

 

Gaia Pagliula

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