Una dose di qualcosa, una dipendenza. I dischi 2017 secondo SALT
Dicembre è il mese in cui qui a SALT tiriamo un po’ le somme di un anno di suoni, viaggi, film e libri. Come tutti, ma questa volta un po’ più di tutti: il nostro quinto compleanno è molto, molto vicino – il 3 gennaio, per chi volesse spegnere una candelina in nostro onore. Così, dopo l’imperdibile GiveMe5 volume 100 dedicato a tutti voi che ci seguite e a tutti noi che scriviamo, abbiamo scelto i dischi che quest’anno ci hanno accompagnato nelle giornate di pioggia (quasi mai), nella calura infernale, nelle serate malinconiche, nelle feste presebbene e pure sotto la doccia. In particolare, sotto la doccia.
Ne parliamo qui sotto, in ordine rigorosamente ad minchiam con precedenza linguistica locale: buon ascolto!
Baustelle – L’Amore e la Violenza
Il disco oscenamente pop del trio toscano è uno dei primi che abbiamo ascoltato in questo 2017 eppure si è fatto ricordare per tutti questi dodici mesi. Merito della penna di Bianconi, ancora capace dopo tanti anni di sfornare classici istantanei come Amanda Lear, Il Vangelo di Giovanni e Betty.
Piccoli miracoli pop, sempre a un passo dal grottesco e sempre in equilibrio tra kitscherie e pura intensità emotiva.
Curiosità: la batteria non esiste, ma non se ne sente la mancanza, sostituita com’è da campionamenti di vinili del periodo 1975-1982. Musica sinfonica in discoteca, profonda e ballabile: pensare che la vita è una sciocchezza aiuta a vivere.
Brunori Sas – A casa tutto bene
Brunori è tornato! Romanzo per esseri umani, difetti inclusi, congelati dalle paure ma pronti ad esplodere di vita. Esplodete, fate un sacco di errori, innamoratevi: Buon Natale! A casa tutto bene, abbiamo le canzoni contro la paura.
Carl Brave x Franco 126 – Polaroid
Tu come stai? È un po’ che non ci sentiamo, io solo guai. Un po’ indie pop, un po’ indie italiano, tanto rap romano fanno da cornice alle canzoni di questo duo che ha cambiato la scena del “sottobosco musicale italiano” del 2017. Stessa etichetta di Calcutta, ma con un pizzico di Ghali e qualche nota di Coez, Polaroid è un disco spartiacque: la narrazione ha la meglio sul suono, l’esperienza condivisa dell’ascoltatore sovrasta la musicalità dei testi. E i concerti live di Carle Brave x Franco 126 ne sono l’esempio: sono esperienze di vita, prima ancora che esibizioni canore. Grazie per Pellaria, regà!
Noel Gallagher’s High Flying Birds – Who Built the Moon?
The Chief ha passato gli ultimi 20 anni dentro una comfort zone che, guarda caso, è la stessa di tutti noi. Noel era l’amico che sai già cosa dirà ma riesce sempre a esprimerlo nella maniera migliore.
Ed ecco che all’alba dei 50 anni si palesa il cambio di rotta. Basta instant-classics, basta progressioni melodiche che hanno fatto la storia, basta formule.
Questo è il coraggio di Noel Gallagher, questo è il nostro più grande rimpianto: se avesse sempre deciso di sperimentare così, forse oggi avremmo di fronte un piccolo Thom Yorke con le Clarks e un fratello sconosciuto.
Kendrick Lamar – DAMN.
To Pimp A Butterfly era il manifesto con cui Kendrick Lamar si attestava come artista centrale del nostro tempo, con un rap dalle tinte avant/jazz di profondità abisssale. DAMN riflette tutta l’incertezza dell’era Trump: disillusione e autoanalisi; politica e fede; black culture e comunità.
Alle soglie dei 30, Lamar semplifica lo stile musicale pubblicando una raccolta di tracce-bomba di puro conscious hip hop. Incendiarie come DNA e HUMBLE; melodiche come PRIDE e i feat. con Rihanna, U2 e Zacari; complesse e intricate come FEAR. Potere, veleno, dolore e gioia, in un unico dna.
LCD Soundsystem – American Dream
American Dream è il ritorno grandioso di James Murphy e dei suoi LCD Soundsystem. Un disco enorme, sulla fine delle cose – dell’amore, dell’amicizia, della vita, della coolness, di una certa idea di musica, delle relazioni e della società così come le abbiamo intese finora.
Punk e New York, dance e approccio indipendente per dieci pezzi perfetti: dal ticchettare Suicide di Oh Baby giù fino all’abisso luccicante di Black Screen, dodici minuti per ricordare David Bowie. In mezzo, canzoni ed emozioni che non dimenticherete.
(recinzione completa qui)
Manchester Orchestra – A Black Mile to the Surface
11 canzoni che ricordano il crollo di una miniera e l’inesorabile sensazione che non potrai staccartele di dosso nemmeno rotolandoti nel sapone di Marsiglia. Suono in costante lotta fra la necessità del silenzio e la sua paura, arrangiamenti minimali ma mai vuoti, mai prevedibili. Nei testi, un dolore talmente privato da diventare universale.
(recinzione completa qui)
The National – Sleep well beast
Il gruppo che non delude mai. Una lettera d’amore lunghissima, dettata dal cervello ma scritta dal cuore. Dormi bene, almeno tu.
Laura Marling – Semper Femina
Diafana eleganza e innocente creatività pervadono l’album della cantautrice inglese. Il suo sesto disco prende le mosse da un passo dell’Eneide: Heia age, rumpe moras. Varium et mutabile semper femina (Muoviti, rompi gli indugi, è della donna essere mutevole).
Non si pone come l’utopia matriarcale di Solange, ma si addentra in una riflessione sulla condizione femminile universale e sulla propria, in quanto donna e artista, in un gioco di specchi per esplorare le relazioni imperfette (Soothing) e l’ evoluzione data dalla sofferenza e il rimpianto (Don’t Pass Me By e The Valley).
La raffinata citazione di Virgilio della donna mobile piume al vento, viene liberata dall’accezione negativa e sessista per consegnarci una ragazza Wild Once, che si ritrova forte come la guerriera Camilla e la regina Didone, domina e non femina.