Domenico Colucci | Dalla Puglia l’app che guiderà nei musei
Louvre. Parigi. Interno. Giorno. Centinaia di metri di corridoi. Orde di turisti. Borse, gruppi, cappotti. Mi sono perso. National Gallery. Londra. Interno. Giorno. Fuori piove. Dentro ombrelli, ancora gruppi, borse, impermeabili. Mi sono perso di nuovo. Eccolo, l’incubo dei claustrofobici perfezionisti. Quelli che “nei musei è bello perdersi, ma solo a volte”. Perché se hai un piano molto serrato come fai a fare tutto? E lo stesso nelle fiere, nelle esposizioni, nei meeting. Il Salone del Libro, il Vinitaly, l’Expo. “Avevo un solo giorno e non sono mai riuscito a trovare il padiglione della Papua Nuova Guinea perché da quando esiste Google Maps non so più tenere in mano una cartina” (tratto dalla mia autobiografia). Ecco, appunto. Google Maps! Perché non funziona dappertutto?
Se lo è chiesto anche Domenico Colucci quando era alla Rinascente di Milano con due amici – Giangiuseppe Tateo e Vincenzo Dentamaro – ed ha avuto l’illuminazione che potrebbe risolvere (anzi, che ha risolto) tutti questi problemi. Le migliori idee avvengono, infatti, nei momenti più impensabili, si sa: c’è chi ha scoperto la gravità svegliato da una mela cadutagli in testa. C’è chi, invece, si è inventato un’app per orientarsi nei grandi luoghi chiusi dove il GPS non arriva solo perché cercava un bagno alla Rinascente e si è chiesto come fosse possibile che nessuno avesse mai pensato di introdurre un sistema di navigazione via smartphone anche lì. Da quel pomeriggio è iniziato un lungo lavoro di documentazione e di ricerca sullo stato dell’arte delle tecnologie del settore. Oggi Domenico Colucci è Chief Financial Officer di Nextome, l’azienda che ha cofondato grazie a quell’idea. Ma non solo, grazie a tutto questo, oggi, Domenico – 25 anni – è fresco di nomina a Giovane Imprenditore Digitale Europeo dell’anno 2015 al premio Europioneers.
Questa è una storia di creatività nata da esigenze concrete. È la storia di un pioniere che vuole fare irrompere la tecnologia nel mondo della cultura per migliorarne la fruizione. È la storia di un ragazzo che, insieme ad altri suoi coetanei, ha scelto di restare coi piedi per terra nella propria patria, la Puglia, e crederci fino in fondo. Perché dall’appartenenza a una regione del sud ha tratto la forza più invincibile che c’è: quella del desiderio di riscatto.
Domenico parla velocissimo, si infervora mentre (si) racconta. È un fiume in piena di entusiasmo.
Con Nextome si ha la possibilità di essere guidati nei grandi luoghi chiusi dove il GPS non arriva. Si possono avere mappe interattive e contenuti extra legati ai percorsi suggeriti. In cosa la vostra App ha cambiato o può potenzialmente cambiare qualcosa nella vita di chi la userà?
Il nostro prodotto nasce da un’esigenza di guidare le persone, ad esempio accompagnandole durante la visita facendogli scoprire cosa c’è intorno a loro nel luogo che stanno visitando e dove possono trovare determinate cose. Come quando, appunto, vi trovate in un museo: è un navigatore per avere intorno a sé tutto quello che si vuole vedere o cercare.
Cosa può guadagnare il mondo della cultura dalla vostra invenzione?
Nextome fornisce un nuovo mezzo per fruire dei contenuti. Spesso, infatti, audio guide o materiali cartacei non sono pienamente fruibili. Con questa app consentiamo di sfruttare la potenzialità dello smartphone come mezzo per dare la possibilità all’utente di immergersi nella cultura, guidandolo nello spazio fisico in cui si trova. Ora il mio smartphone può portarmi di fronte all’opera d’arte e darmi un contenuto in più su di essa. In un grande museo, poi, è bello personalizzare la guida con tour tematici ad hoc. Magari creandosi una soluzione di quello che può piacere.
Beh, ma in moltissimi musei già esistono i QR code di fianco alle opere per avere informazioni in più su di esse grazie alla (rara in Italia) combo smartphone + wi-fi. O no?
No no, i QR Code (quei quadratini bianchi e neri che vedete sparsi in giro su oggetti di qualsiasi genere, ndr) nei musei non servono a nulla. Sono una perdita di tempo: tira fuori il telefono, apri la fotocamera, ecc. Lo stesso vale per i totem interattivi che ci sono in giro (come quelli che c’erano in Expo, ad esempio). Togliamo tutti questi elementi di disturbo, legalizziamo lo smartphone nei musei e usiamo questa app. Peraltro non puntiamo a far usare direttamente la nostra app in un museo. Noi in realtà forniamo il toolkit, il sistema tecnologico, che può essere integrato nelle app dei singoli musei.
Lo vedi fattibile nel mondo dei musei italiani, almeno nel breve termine?
In Italia effettivamente al momento è un po’ più difficile perché tutti i musei sono gestiti dal ministero e ci sono tempi di approvazioni di anni. Cosa impossibile per una startup che deve crescere in fretta. La loro strategia dovrebbe essere quella di guadagnare da una serie di servizi che metti a disposizione dopo il pagamento del biglietto. Ma i musei italiani credono che i loro introiti arrivino solo dalla vendita degli ingressi. Invece no. Nella app potrei, ad esempio, suggerirti di fare “acquisti-in-app” tipo un video in più dopo che ti ho guidato all’opera, un gadget, un poster, una audio guida, ecc. Immagina di fare un percorso con Vittorio Sgarbi nel museo: lo puoi fare con la app firmata da Sgarbi.
Una cosa che stupisce è la vostra scelta di non posizionarvi in location più “scontate” per business come questi, come quella di Milano.
La scelta di non posizionarci nell’hub di Milano o all’estero ha sicuramente delle ricadute. In Puglia le infrastrutture sono ancora abbastanza scadenti e solo ora si sta muovendo qualcosa. Ma abbiamo scelto di stare giù per dire: anche in questa terra ce la possiamo fare. In una terra che ha ospitato storie come quella di Blackshape (raccontata in questo libro). Altro fattore importante è legato al fatto che tutta la gente, qui, ha un valore che noi apprezziamo: il valore del riscatto, la forza di dire: ce la possiamo fare. Non è una qualità che si trova in tutti gli altri. La nostra forza nasce dal desiderio di riscatto per il luogo da cui proveniamo. Ci dicevano: come si può creare qualcosa in Puglia? Ecco la prova. Si può. E non siamo mosche bianche. Abbiamo solo dato sfogo alla nostra creatività. L’Italia non è un campo fertile per quello che vogliamo fare, lo sappiamo. Il mercato internazionale ce lo stiamo creando con le competition internazionali.
La contro-narrazione del mito dei cervelli in fuga, insomma.
Esatto. Andare all’estero non è sempre la soluzione. La nostra strategia per avere i piedi all’estero, però, è avere un ufficio commerciale con una sola persona in America pur tenendo la produzione in Italia. È come quando si delocalizzava dove costava meno il lavoro. Ecco. Al sud il lavoro costa meno e noi investiamo sul sud.
Il vostro business può portare una piccola rivoluzione nel modo di fruire della cultura. Credi che anche questo faccia parte del sale della vita? Che cos’è per te questo sale?
Ti rispondo con una frase che porto sempre con me. È la frase di un italiano doc: Benigni. “Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso restare fermi” Ecco, il sale della vita è il coraggio. Non c’è bisogno di commentarla. Io mi ritrovo molto in questa citazione e l’ho fatta mia. È questo il senso. E questo è il senso che dovremmo comunicare ai nostri connazionali. Adesso l’Italia ha ancora paura. Non c’è ancora il coraggio di entrare nel nuovo. Si è sempre un passo indietro anche quando pensiamo di presentare una tecnologia nuova. Siamo spaventati. Invece tanti ragazzi come noi ci stanno mettendo del loro per cambiare le cose pur restando in Puglia, o in generale in Italia. Ci sgoliamo e cerchiamo coraggio: in questo Paese qualcosa si può fare. Se il 60% ragionasse così saremmo già ai primi posti.