La Fine della Ragione. Parlare del futuro per raccontare il presente, intervista a Roberto Recchioni.
Di linguaggio, comunicazione, fantascienza e "perché non si capisce niente di quello che dicono i medici?"
Era il lontano 10 marzo 2018, al Cartoomics di Milano, freschi freschi di elezioni, quando il Governo del Cambiamento non si era ancora insediato. Avevo avuto la fortuna di fare due chiacchiere con l’autore di un fumetto che avevo trovato quasi disturbante, per quanto profetico, per poi aspettare il momento più adatto per commentarlo, cioè quando queste previsioni sarebbero state più vicine ad avverarsi e quando il dibattito si sarebbe acceso nuovamente. Ecco, questo momento c’è stato, e io ero bel bella al mare a mangiarmi pasticciotti. Ora l’attenzione generale si è spostata sul trend topic del momento, ma io, forse un po’ fuori tempo massimo come nella migliore tradizione della sinistra, ho deciso lo stesso di parlarvi di questo fumetto perché sempre più attuale e disarmante.
Ovviamente, sto parlando de “La Fine della Ragione”, di Roberto Recchioni, edito a Febbraio 2018 da Feltrinelli Comics, neonata collana a fumetti della celebre casa editrice milanese. Il fumetto è nato e ha preso forma in pochissimi mesi, proprio perché doveva rispondere a questioni di attualità, ed è stato alimentato dai toni di quella campagna elettorale che ben ricordiamo. Il risultato è un racconto di fantascienza distopica, narrato attraverso la commistione di disegni eseguiti con una antica tecnica giapponese e il linguaggio scarno, diretto e conciso dei comunicati social. Come dicevo, la tecnica “sumie” (perdonatemi se commetto imprecisioni) consiste nell’utilizzo del semplice pennello e di inchiostro nero per dare forma a immagini spontanee e realizzate possibilmente con un unico movimento della mano su carta di riso, e ben si è adattata alla necessità dell’autore di lavorare con immediatezza e “di pancia”. Le tavole sono state poi stampate su una carta che ricordasse il più possibile un diario tenuto dal narratore grazie alla texture e alla presenza delle classiche righe orizzontali.
Prima di cominciare con l’intervista dovete chiedervi: quanto vi sembra vicino un futuro in cui una madre, per salvare la vita alla propria figlia ammalata, dopo che la saggezza popolare ha fallito con i suoi rimedi, deve attraversare un mondo desolato alla ricerca degli scienziati che si sono autoesiliati nelle viscere della terra?
Dalle varie interviste che ho letto e anche dalla lettura del tuo fumetto si capisce che, lavorandoci, hai lasciato libero sfogo all’immediatezza e all’istintività, almeno per quanto riguarda la parte tecnica e la realizzazione. Quanto, invece, c’è di istintivo e di “sfogo personale” nel messaggio?
Il messaggio è fortemente meditato, anche per quanto riguarda il linguaggio utilizzato. Noi viviamo in un’epoca in cui, giorno dopo giorno, vediamo la ragione fatta a pezzi in nome della superstizione e quant’altro. E non è un processo che è iniziato oggi, ma è un processo che, giorno dopo giorno, è diventato un sistema effettivo. A un certo punto ti rendi conto che la misura è colma, non ti basta più fare uno stato su Facebook, ma vuoi fare qualcosa che abbia un corpo più strutturato. Il problema è che vuoi anche riuscire a raggiungere le persone che ti leggono. Quindi l’idea è, come spiegato nell’introduzione del libro, quella di utilizzare un linguaggio semplificato, che fa suo il liguaggio dei meme, che fa suo un certo modo di fare comunicazione molto “urlata” e diretta. Abbiamo visto che c’è un problema nella recezione dei messaggi troppo strutturati, quindi semplifichiamo e stilizziamo tutto in modo che sia qualcosa molto veloce e molto efficace. Poi il mio libro non serve a trovare risposte, ti deve far capire che bisogna farsi qualche domanda in più.
Infatti proprio nella prima pagina del libro ironizzi sulla scelta del linguaggio semplificato e soprattutto sulla scelta di usare il fumetto in questo senso.
Sì nella prima pagina ironizzo tanto sul fumetto in quanto tale. Ed è vero che il fumetto è un linguaggio che nasce per le fasce più analfabetizzate della popolazione. Quindi da una parte si ironizza sul fumetto, che in realtà sappiamo che è un linguaggio che ti permette di raccontare qualsiasi cosa, dall’altra si ironizza sul lettore, che sappiamo essere sempre più disattento e sempre più attento agli slogan, ma allo stesso tempo si ironizza sul libro, perché mentre stigmatizza il linguaggio degli slogan lo fa attraverso uno slogan. È un meccanismo di provocazione tripla.
Quindi, con questa prima pagina, da una parte ci fai fare una risata amara, ma dall’altra speri veramente di raggiungere qualcuno in più?
Se un libro lo vendi e lo fai leggere solo a persone che la pensano come te è inutile.
Quindi abbiamo detto che il linguaggio del fumetto è al tempo stesso semplificato e anche accattivante, se vogliamo. Visto che con questo libro, in un certo senso, ti sei fatto “paladino” del ragionamento logico e del metodo scientifico pensi che il fumetto possa avere ancora un ruolo nella divulgazione scientifica?
Mi dispiace, ma con questa risposta non sentirai niente di quello che vuoi. Primo: io non sono paladino di niente ma sono nemico di tutti. Quindi nel mio libro anche la classe scientifica non è trattata bene: è la stessa che ha creato la situazione presente e poi si è autoesiliata nel bunker. Non è che la gente si è svegliata razzista e oscurantista, la gente si è estremizzata in quella posizione perché il sistema ha creato un linguaggio incomprensibile. Il linguaggio del medico che si confronta con il paziente è un linguaggio arcano e iniziatico che serve esattamente a tenere lontano il paziente dalla conoscenza. Allo stesso modo lo ha fatto la politica, l’economia: hanno creato lingue segrete per dire “noi sappiamo le cose e voi no, fidatevi di noi”. Quindi la colpa è di tutti. Per tornare al linguaggio del fumetto ti dirò che io non credo che il fumetto abbia nessun dovere scolastico: è uno strumento, lo puoi trovare ovunque ed è un linguaggio di grandissima forza. Però è come se tu mi chiedessi: si può usare un jingle musicale per fare divulgazione scientifica? Sì, si può fare, ma non so se è la cosa più adatta. Certamente si possono fare dei fumetti che raccontino un po’ meglio di alcuni aspetti, ad esempio Ortolani sta facendo un lavoro interessantissimo sulla scienza e sullo spazio, però non credo che sia un obbligo. Nell’attimo in cui un linguaggio serve ad insegnarti qualcosa, la gente prende e se ne va, perché automaticamente lo associamo alla scuola e la scuola annoia.
Però io mi ricordo di essere cresciuta con tantissimi topolini e paperini che mi hanno fatto scoprire un sacco di cose interessantissime.
Ma quanto erano belli? Mi ricordo di topolini che mi hanno fatto appassionare ad un sacco di sport, alla storia, all’archeologia… Quella era una scuola di fumetti per bambini veramente ben strutturata. La buona narrativa è sempre una cosa che ti fa appassionare.
Si può dire che il tuo fumetto faccia parte della fantascienza distopica. Secondo me anche la fantascienza ha fatto un suo percorso nel tempo, dai primi racconti sulle mirabolanti invenzioni che il XXI secolo ci avrebbe portato siamo passati alle problematiche che il progresso potrebbe portare e, ultimamente, mi sembra che prevalgano i deserti post-apocalittici. Tu ti riconosci in questo percorso?
La fantascienza quando è buona fantascienza commenta il tempo presente raccontando le ipotesi del futuro. Un’epoca come quella di H. G. Wells e di Verne, molto positivista, ha raccontato un mondo fantastico, pur essendo sempre presente il seme della tecnologia usata per il male. In realtà quasi tutti gli scrittori di fantascienza ipotizzano il bene quanto il male e pochi sono davvero ottimisti. Per quanto riguarda il distopico devi considerare che il sentire dei tempi influenza non solo il sentire degli artisti, ma anche la risposta del mercato. Se da una parte tantissimi autori si sentono attratti da questi universi credibili post “qualcosa”, come guerra nucleare, crisi energetica, apocalisse zombie o anche ideologica, come in “Handmaid’s Tale”, dall’altra c’è il fatto che in tempi di crisi e instabilità politiche gli scenari post-apocalittici sono sempre andati per la maggiore, perché è il pubblico che risponde a quella cosa, ne è affascinato. Quindi Mad Max, quello originale, nasce nel pieno della crisi energetica americana degli anni ’80, tutti i film zombie di Romero nascono nel post Vietnam, the Day After nasce durante la crisi nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Questo libro non fa altro che esprimersi in questa direzione. Il problema vero è che l’ho iniziato in un periodo in cui era una distopia possibile e ora è diventata una distopia sempre di più attuale.
Sei stato influenzato in qualche modo da altri personaggi che a loro volta, in questo caso soprattutto per mezzo social, stanno combattendo una protesta analoga contro questo atteggiamento generale “antiscentista”, ad esempio Roberto Burioni?
Burioni è una persona che utilizza social in maniera aggressiva forse persino per me. Non so quanto questo suo atteggiamento porti a degli effettivi vantaggi. Certo a fronte del curriculum di Burioni, quando dice a un avvocato che deve stare zitto a proposito di vaccini, direi che l’avvocato deve stare zitto. C’è tutta la classe politica che sta cercando di insegnarci che sapere le cose è inutile, tanto puoi essere un nessuno qualsiasi e diventare chiunque. Però non è così, perché il sapere è importante. Magari non è importante il pezzo di carta, la laurea, ma il sapere è importante non c’è dubbio.
Quindi tu pensi che questi personaggi, parlo di Burioni perché è quello che ho più presente, abbiano portato dei vantaggi o solo abbiano dato risonanza ai movimenti opposti come quello no-vax?
Se tu dici alla gente che è stupida, ignorante e cafona, 9 volte su 10 poi non la convinci che stai dicendo la cosa giusta. Quando tutti democratici americani hanno cominciato a dire che quelli che avrebbero votato Trump erano stupidi bifolchi, non hanno ottenuto i loro voti, anzi hanno polarizzato gli indecisi contro di loro. Perché tra gli elettori di Trump ci sono un sacco di neri e messicani? Forse perché dall’altra parte è stata molto peggio nella comunicazione e che non è riuscita a contattarli, se poi gli dai pure dello stupido di sicuro non lo conquisti. Quindi per quanto per me Burioni dica solo cose giuste, il fatto di trattare tutti come cretini non è un buon sistema.
Dato che io stessa sono un medico sono stata molto colpita dal fatto che i dottori tu li abbia fatti autoesiliare nelle viscere della terra. Per fare una critica costruttiva, cosa potrebbe migliorare la mia categoria per evitare questa percezione da parte degli altri?
In prima cosa migliorare la comunicazione. So che ci sono forti correnti che spingono per migliorare il rapporto medico-paziente, fatto sta che poi nella pratica non è che abbiamo fatto molti passi avanti. È un po’ come quando c’era la Bibbia in latino, i preti facevano messa in latino e le vecchiette non ci capivano niente, quindi loro gli spiegavano come andare all’Inferno e al Paradiso e poi aggiungevano: “vota Democrazia Cristiana così vai in Paradiso”. Il fatto è che se tu hai il controllo della lingua, hai il potere o credi di averlo. Se le persone che hai davanti si stufano e decidono che ne hanno abbastanza che tu abbia il potere, non rifiutano solo te in quanto esponente del tuo potere, ma rifiutano anche la tua sapienza. Quindi, la sfiducia nei confronti della classe medica, dei dottori e degli esperti ce la siamo guadagnata un pezzettino alla volta, un pezzettino di incomunicabilità alla volta. Stiamo cauti a dire che è colpa loro perché sono cafoni. Pur essendo io a favore della legge sull’obbligo vaccinale, per arrivare all’imposizione vuol dire che hai rinunciato a qualsiasi possibilità di comunicazione.
Visto che abbiamo parlato di scienza, parliamo di percentuali. In che percentuale sei sicuro che si avvererà la tua profezia almeno in parte?
Io ero abbastanza sicuro che sarebbero state premiate le forze che più si appoggiavano alla negazione del sistema, non è stata premiata la destra o la sinistra, ma chi urlava più forte contro il sistema attuale. E anche sulla apocalisse sono abbastanza sicuro.
Cosa è per te il Sale della vita?
Lo scontro: la mia conoscenza del mondo deriva dal modo in cui mi scontro con le cose. Cerco di provocare le persone che ho davanti per vedere di che pasta sono fatte e anche il mio pubblico lo provoco continuamente per vedere come reagisce. Non riesco a vivere senza l’idea dello scontro che mi permette di definire il mondo che ho intorno e definire me stesso.
Titolo: La Fine della Ragione
Autore: Roberto Recchioni
Casa editrice: Feltrinelli Comics
Anno di pubblicazione: 2018