Devendra Banhart |Ape in Pink Marble

Devendra Banhart |Ape in Pink Marble

Devendra Banhar - ph. Matthew Eisman/Getty Images

Ci sono infinite realtà migliori di questa, basta abbandonarsi a qualche fantasia accidentale, distaccarsi un attimo e sì, viaggiare. Qualunque sia il fuori che ci circonda, lasciato sfilare dal finestrino appannato di un aereo o di un treno ad alta velocità, il futuro in costruzione è maledettamente sofisticato ed elegante. Ambizioso, ma anche pigramente nostalgico.
Top Quality” è il primo principio di Ape in Pink Marble, l’ultimo album di Devendra Banhart, orientaleggiante in Theme for a Taiwanese Woman in Lime Green quanto autoreferenziale in Fancy Man. Un occhiolino alla bossanova più sofisticata, un froufrou di piume e tanta, troppa leggerezza.

Un album destrutturato e più filosofico se paragonato a Smokey Rolls Down Thunder Canyon (2007) e in continuità con Mala (2013), con quella leggerezza un po’ frivola dove poi si vanno a nascondere la profondità e tutte quelle brutte cose che turbano le persone sensibili nei momenti più disparati. Sarà l’associazione della saudade venezuelana di Middle Names e gli accordi semplici quanto esotici di Good Time Charlie. Le persone belle, pulite e incantevoli che eravamo.
Mi ha colpito in particolar modo Fig in Leather per quello strano processo che è l’associazione di idee randomica.devendra-banhart-ape-in-pink-marble-sq-1024x1024
In Mio Dio No di Lucio Battisti di cui ho parlato qui, siamo davanti alla stessa situazione di preparativi per l’occassione sospirata di restare, finalmente, soli. I preliminari sono un processo universale e la domanda è unica, fisiologica e ancestrale. Lei verrà o non verrà?

Hello, is that you?
Come right in, have a seat
Remove your shoes, enjoy some fruits
Did I mention “have a seat”?

Il campanello grida ti amo
apro e stringo già la sua mano
poi la guardo mentre cammina
mentre siede vicina
intanto che mangia di gusto
la carne il caviale ed il resto.
Dopo avere mangiato la frutta
si alza e chiede dove c’è il letto

 

Situazioni sbarazzine e disimpegnate che occhieggiano imprevedibilmente agli accordi della chitarra di un’altra (mia) infatuazione senza tempo, Jonathan Richman (I Was Dancing in the Lesbian Bar | Vampire Girl) e tutti gli incroci di certi venerdì sera. Ormai lontani. Ormai circostanziati.

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La fragilità e l’inconsistenza di un’anima bella a cavallo dell’insostenibile leggerezza dell’essere e di percussioni che rappresentano la spina dorsale di una malinconica Mara e di un Saturday Night da augurarsi per il prossimo weekend. Per le direzioni più disparate, quelle nostalgiche e in contrasto.

Sul finale, il sì sì di Jon Lends a Hand.

 

album | Ape in Pink Marble
artista | Devendra Banhart
etichetta | Nonesuch Records
anno | 2016
durata | 43:46

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