De Andrè e Pasolini | Sally e la Solitudine
Rimini (1978) è l’album di Fabrizio De Andrè che dà voce a un’allegorica disillusione, quella sognante e rivoluzionaria del “quand’ero piccolo m’innamoravo di tutto” e dallo stesso retrogusto pungente e spigoloso del passaggio dalla pubertà all’età adulta.
Il raggiungimento della maturità consiste nel superamento delle piccole rivoluzioni imbrigliate e di miti sfatati, il cui costo è in termini di sogni ad occhi aperti e candore. C’è una tenera ironia nella sconfitta degli idealisti, nelle esperienze che si rivelano malinconicamente occasionali e illusorie. Consumatorie, per dirla alla Pasolini.
Bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori dal comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza e mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto.
Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
La solitudine, Pier Paolo Pasolini
Come perdere una verginità anatomica e mentale nell’erba già alta del miraggio estivo di Americhe abortite e peperoncini rossi nel sole cocente, sarà che il pesciolino d’oro di De Andrè mi fa sentire a casa e che Full Metal Jacket ha fatto da sfondo alla mia prima volta. Vuoi la deriva di certe letture di Prudhon mischiata ai megafoni di comitati di sinistra, qualche foto sui giornali ai tempi delle manifestazioni in piazza.
Tra tante idee belle, mi fanno sempre sorridere Teresa, che ancora rimbocca lenzuola e perde l’amore sognando una rivoluzione cubana, e Coda di lupo, nel suo scontro tra ideale sovversivo e populismo gretto. Lo scontro con l’ansia pragmatica di copula e prepotenza che pervade inevitabilmente tutte le forme di aggregazione.
Nel 1980 Fabrizio De Andrè ha dedicato all’omicidio di Pasolini “Una storia sbagliata”, in cui la malinconia di una vita violenta lega due storie:
“è una storia di periferia, è una storia da una botta e via, è una storia sconclusionata, è una storia sbagliata“
Ma è Sally l’avventura sognante di una persona sola, che perde l’innocenza un passo dietro l’altro, accompagnata solo dal suono leggero di una chitarra o un ukulele, nello slancio curioso verso l’altrove.
Bisogna essere molto forti per amare la solitudine.
Mi baciò sulla bocca, mi propose il suo letto, dite a mia madre che non tornerò.
Il succo di Sally è la fiabesca incapacità di fermarsi, espressa con la voce cullante dei sogni ad occhi aperti e da una carrellata di istantanee -avventure, uomini, fatti, esperienze- spremute fino a stordirsi. L’intreccio è malinconicamente ripetitivo e consiste nel rincorrersi di una realtà vissuta attraverso a sogni interrotti, affrontati come si attraversa un mare allo sbaraglio, in quella che è la scelta e il destino di tutti i protagonisti di Rimini. Perdenti in groppa a facili entusiasmi e ideologie alla moda.
L’immaginazione offre l’alibi a una realtà di complicità infantile, sesso, assassinii e incomunicabilità. Il richiamo è sempre, costantemente, la via. Il cuore va addormentato, il legame abbandonato per un viaggio a piedi nudi, la sensualità di una bocca sporca di mirtilli e l’incapacità di dire addio.
Si tratta di un solitario naufragio narrativo, che poi è una solitaria forma di isolamento. La solitudine non è prerogativa di caratteri introversi e malinconici, io credo che ci sia una violenta forma di solitudine nell’ansia di nuovo e di vuoto delle personalità espansive. Nel sovrapporsi di corpi e di voci per poi sparire in un baleno. Oggi sono qui, domani chi lo sa.
Perché grattando, anche sotto la buona novella e il mito dell’estate c’è sempre una mezza fregatura, come quella dei turisti portati sui cocchi per le vie vecchie del centro e la guida che dice “E qui c’è Bulgari e qui c’è Gucci e qui c’è Cartier”.
E allora capisco Pasolini e l’illusione degli occhi troppo belli di Sally.
“Io avevo voglia di stare da solo, perché soltanto solo, sperduto, muto, a piedi, riesco a riconoscere le cose”
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