Dante, Arturo e Medea | L’«ora in più» di Marilena Lucente

Dante, Arturo e Medea | L’«ora in più» di Marilena Lucente

Due squilli del telefono, ecco la voce di Marilena. Immagino attorno a lei scaffali di libri impilati con dentro pizzini a fare da segno, orecchini di pietre pendenti e un sorriso gentile.

È un sabato pomeriggio qualunque, il rumore del traffico attutito per la controra di primavera. Il blocco degli appunti è pronto, il caffè già un poco tiepido, risponde Marilena: – Pronto? 

Mi sono rivolta a lei perché penso che sia la professoressa che tuttə meriteremmo o avremmo meritato: quel tipo di professoressa entusiasta che, se l’hai, ti accorgi di doverle la tua passione per la letteratura, mentre se non l’hai avuta la rimpiangi un poco per tutta la vita.

Ho conosciuto Marilena Lucente, professoressa di italiano all’istituto “Terra di Lavoro” di Caserta e scrittrice, sulle pagine del suo libro Trilogia delle donne dell’acqua (AnimaMundi ed., 2019) dedicato a tre donne del mito Medea, Penelope e Didone e al loro rapporto con l’acqua, con il mare; l’ho ritrovata su Facebook con il suo progetto di lettura condivisa dell’Isola di Arturo di Elsa Morante, ideato in occasione della nomina di Procida a capitale italiana della cultura 2022; da ultimo, le ho potuto finalmente telefonare per parlare di Dante e del suo esperimento didattico per l’insegnamento della Divina Commedia.

Prendendo spunto dal fatto che alcuni anni fa fu inserita nel programma scolastico di italiano delle scuole superiori «un’ora in più» da dedicarsi proprio alla Divina Commedia, ho intitolato in questo modo la nostra chiacchierata telefonica durata all’incirca un’ora: un’ora in più che ha allungato in bene la mia giornata, che ha avuto per me un peso specifico diverso da tutte le altre ore tra loro gemelle.

I. ‘O Nfierno

In occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante (1321-2021), ho pensato che occorresse interrogare qualcunə che ha a che fare con Dante tutti i giorni, che ha in cura l’educazione poetica e civica dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze ed è chiamatə a rendere Dante un campo di gioco per loro attraente: mi sono rivolta a Marilena proprio per cercare di accedere al Dante di oggi. Che cosa significa Dante nel 2021?

Quando parliamo di identità italiana –  in senso culturale e storico – forse l’unica cosa su cui siamo tutti davvero d’accordo è proprio Dante.

Dante è la cultura italiana: così si mettono le cose almeno a partire dalla rinascita del culto dantesco durante il Risorgimento (“Padre Dante” lo chiama Mazzini, come ricorda subito Marilena).

A settecento anni dalla sua morte e a centosessanta dall’Unità d’Italia, però, occorre interrogarsi su come Dante possa ancora parlare ai ragazzi e alle ragazze di oggi che ascoltano trap e guardano Gomorra: ragazzə distanti molte generazioni sia dalla lingua di Dante sia da quella idea di nazione italiana partorita dalla seconda metà dell’Ottocento e barbaramente glorificata fino al secolo successivo (e che ancora sopravvive).

Le classi di oggi sono culturalmente molto più ricche ed eterogenee di quelle delle generazioni passate e l’erede della lingua di Dante, l’italiano di oggi, deve fare spazio ad altri patrimoni linguistici altrettanto ricchi: nelle classi di Marilena si sovrappongono molte lingue e sonorità diverse – espressioni del dialetto campano, vocaboli albanesi, verbi africani e così via – motivo per cui il compito di unə insegnante è diventato anche quello di trovare il modo di ricondurle ad unum, che non significa fare loro violenza per imporre una lingua sulle altre ma trovare una chiave per fare della lezione un luogo collettivo a cui tuttə sentano di appartenere.

Marilena ha scelto di fare dell’esperienza dei suoi ragazzi e delle sue ragazze la chiave per insegnare loro Dante. La loro esperienza quotidiana – la loro lingua trattata con la dignità di un sapere e di un patrimonio culturale ricco e stratificato, la loro sapienza linguistica – è servita per spiegare la lingua di Dante: Marilena ha preso le terzine dantesche e le ha tradotte insieme a loro in dialetto napoletano, ossia nella lingua così piena di musica con cui i suoi studenti e le sue studentesse si esprimono fuori dai cancelli scolastici.

Una lingua «col sole dentro» che le hanno insegnato (Marilena insegna a Caserta ma ha dentro di sé la lingua di Puglia) come in un baratto: la prof insegna Dante e i ragazzi le insegnano il dialetto napoletano, come in «un incontro – unico ed irripetibile – di opposti, che poi opposti non sono. Insieme abbiamo attraversato il linguaggio e il linguaggio ci deve stare addosso» mi racconta.

«E il miracolo ulteriore qual è stato? Che anche gli studenti stranieri si sono interessati», attirati dalla risata naturale che abita la lingua napoletana: «tutto questo» continua «è stato possibile grazie all’universalità di Dante ed è forse ripetibile (ammesso che lo sia) solo attorno agli universali».

È così che, ad esempio, Virgilio diventa ‘O Mast e che i Savastano di Gomorra possono aiutare a comprendere meglio il carattere e la storia di alcuni incontri di Dante all’Inferno: perché Napoli, mi spiega Marilena citando una famosa “sentenza” medievale ripresa da Benedetto Croce, è un paradiso abitato da diavoli e si presta bene a traghettare Dante verso i ragazzi e le ragazze (e, per una volta, non solo loro verso Dante). Per Marilena è stato come «un precipitare nel loro mondo» e imparare nuove cose, è stato come interrogarli nel senso di chiedere loro informazioni per lei nuove.

E allora in classe, come si dice a Napoli, accade un fatto: è la “religione” educativa della multidisciplinarietà ma è anche il miracolo che accade quando libri e vita e si mescolano davvero fino a fondersi. L’insegnamento di Dante rimane autorevole senza essere cattedratico – «la nostra non è stata un’opera di traduzione ironica: ho cercato di stare attenta a non finire nell’imbuto che banalizza e si prende gioco di ciò che tocca» – e può rivelarsi persino divertente (anzi, può persino succedere che una professoressa che insegna Dante cominci a guardare Gomorra perché gliel’hanno consigliata i suoi studenti).

Di questo esperimento scolastico, di questo percorso di vicinanza e avvicinamento il libro ‘O Nfierno, Dante e Virgilio mmiezo ê malamente (pubblicato da Giazira Scritture a dicembre 2020) è la trascrizione:

«In letteratura non sarebbe azzardato sostenere che “tutte le strade portano a Dante”. Anche se (come accorato, disperato auspicio sociale) il viaggio della conoscenza dovrebbe presupporre che “tutte le strade portano a scuola”. La scuola e Dante. Finito di leggere questo libro, vi risulterà difficile decidere chi fra i due è il protagonista. Ma vi assicuro che, alla fine, non sceglierete, perché vi sarete innamorati di entrambi. E in amore nessuno arriva secondo. Anzi: l’amore dà sempre i suoi frutti. E il frutto di questo libro sono i ragazzi che, fra i banchi di scuola, hanno dato vita a un viaggio magico»

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II. L’isola di Arturo

…Il presente mi pareva un’epoca perenne, come una festa di fate…

C’erano molte altre cose di cui avrei voluto parlare con Marilena. Messo da parte il Sommo, con rispetto parlando, mi interessava chiederle del suo progetto di lettura condivisa che ha costruito, in occasione della nomina di Procida a capitale italiana della cultura 2022, attorno al romanzo di Elsa MoranteL’isola di Arturo – che proprio a Procida è ambientato.

Una sorta di preparazione letteraria al viaggio a Procida che speriamo tuttə di poter organizzare presto e un modo per anticipare l’anno di eventi che animeranno l’isola in quanto capitale della cultura.

«La poesia non si spiega: invece a me piace stare lì a cercare di capire, di spiegare parola per parola» mi racconta Marilena, che anche qui ha lavorato con il suo microscopio poetico: del resto, come succede ad ogni innamoratə di Dante, ama la geometria perfetta dell’edificio costruito da minuscoli dettagli, della parola come rotellina perfetta di un ingranaggio complesso.

Sul gruppo Facebook “Circolo dei Lettori di Capua”, giorno dopo giorno Marilena si è reinventata un modo per stare insieme come circolo culturale nonostante la pandemia («Eravamo molto attivi prima del covid-19, organizzavamo letture, presentazioni ed eventi tra artisti, lettori, librai: si esplodeva insieme!»).

Ha recuperato i suoi studi universitari su Elsa Morante e ha scelto di postare frammenti dell‘Isola di Arturo ogni volta con il corredo delle sue suggestioni, dei suoi commenti e di fotografie che ha via via scelto di abbinare ad essi, per entrare dentro le pagine del romanzo.

In questo modo, leggendo insieme parola per parola come se fosse un lavoro poetico, ogni periodo postato è diventato un piccolo corpo autonomo e poetico in grado di parlare da sé, di risaltare e risuonare forte e nitido e per un momento indipendente: così ritagliato e cucito, in viaggio «come una barchetta di carta», ogni frammento ha brillato di luce propria prima di ritornare a casa, al magma della narrazione:

«Post del 7 maggio 2021 [SPOILER]

Sogni contrari.

Fra i cibi svariati che Silvestro cavò dalla valigia, c’era, involta in carta spessa da pasta, una grossa pizza dolce. Ed egli mi informò che la matrigna lo aveva pregato di portarmela a Ischia, dicendogli che l’aveva fatta per la mia festa e che lei, tanto, adesso, non aveva proprio voglia di mangiarla. 
Oltre alla pizza dolce, ella mi mandava in regalo, per il caso ch’io dovessi trovarmi in bisogno, tutti i suoi risparmi, che Silvestro mi consegnò: circa quattrocentocinquanta lire, annodate in un fazzoletto piuttosto sporco. Infine, ella aveva affidato a Silvestro, pregandolo di dirmi ch’io lo conservassi per suo ricordo, un orecchino spaiato, d’oro. Al ricevere dalle mani di Silvestro quel cerchietto d’oro, io arrossii.

Elsa Morante, L’isola di Arturo

Ricordare: riportare al cuore.

Così Nunziata manda ad Arturo – ma non sa che si trova ancora sull’isola – un pezzo di pizza dolce, tutti i suoi risparmi e quell’orecchino d’oro, quel piccolo cerchietto che era caduto mentre lui la strattonava.

Per ricordo. Per farsi spazio nel cuore. Anche così, solo così, da lontano.

Silvestro è stato alla casa dei Guaglioni, ha preso i soldi e i manoscritti di Arturo, ha raccolto altro cibo dall’isola ed è tornato alla grotta. Il piroscafo partirà tra qualche ora.

Nunziata si era sentita male, mentre Silvestro le raccontava di Arturo, ma aveva chiesto di non riferire quel malessere. Come se bastasse nasconderli i sentimenti per non farsi male:

“A questo punto, io, sempre giù steso col viso al buio, interruppi Silvestro, pregandolo, per favore, di non parlarmi di lei, d’ora innanzi, mai più. Preferivo di non sentirmela più nemmeno nominare, da nessuno, d’ora in poi”.

Ognuno terrà dentro il nome dell’altro.»

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III. Trilogia delle donne dell’acqua

Infine, restava da chiedere a Marilena del suo libro dedicato a Penelope, Didone e Medea e al loro rapporto con l’acqua e con il mare: Trilogia delle donne dell’acqua (AnimaMundi ed., 2019).

«Il mito è la nostra casa, siamo figli del pensiero greco e delle parole e quindi ci sentiamo a casa dentro tutti i miti. Se noi riconosciamo il mito che ci guida, che soggiace al nostro agire e ai nostri modelli – se riusciamo a guardare negli occhi le tante donne che possiamo essere e che siamo – allora compiamo un’operazione di conoscenza interiore: e più conosciamo, più siamo liberi» mi spiega Marilena.

Riscrivere il mito, come lei ha fatto, è allora un tentativo di decifrare «parti di noi così profonde che ci parlano e ci danno una nuova voce per parlare, sono come un richiamo dell’anima e della cultura».

«Queste tre donne, in particolare, che restano sole e tutto ciò che resta loro sembra essere il mare, mi parlavano di alcuni comportamenti, atteggiamenti, scelte di vita con le quali mi sembrava interessante misurarsi»:

Dicono che è così che succede: quando gli occhi di un ragazzo, un ragazzo che sta per diventare uomo, si posano sul mare arriva irrefrenabile il desiderio di partire. […] E le donne? Le donne che sono ai bordi del mare e aspettano, le donne che pure desiderano il viaggio

Penelope attende sulla terraferma il ritorno di Ulisse – mi spiega Marilena – il mare diventa per lei la dimensione dell’attesa, mentre per suo marito è la dimensione del viaggio e della conoscenza del mondo: Penelope sceglie di aspettare, di esserci – è sulla terraferma che si costruisce: ecco perché la sua è una storia di fondazione e di fecondazione della terra, come quella di Didone – e nell’attesa muta la relazione che ha con se stessa, conosce se stessa, si trasforma stando ferma (si trasforma più degli uomini in viaggio lontano da casa) senza arrivare mai a rinnegare l’amore. Resta allora da scandagliare il momento non più del primo incontro con Ulisse ma del re-incontro, dopo tutto quello che è accaduto fra i due eventi.

Didone, invece, ci racconta l’esperienza dell’abbandono – un abbandono che viene dal mare e attraverso il mare si compie – e del ruolo che hanno le condizioni e le circostanze nella nascita e crescita dei nostri sentimenti. «Le ho voluto però togliere la “maledizione”, perché maledire una cosa che si è vissuta significa maledire se stessi: volevo scavare quest’anima segnata dall’abbandono e vedere che forma ha, ed è terribile» mi spiega.

Medea, infine: Medea la straniera, la prima donna a salire su una nave e andare per mare, colei cui Giasone deve la riuscita della sua più grande impresa. Medea ci aiuta a conoscere il male che è dentro di noi, che si nasconde anche dietro l’esperienza dell’accudimento e la paura che abbiamo di fare del male: «ci aiuta a chiamare il male per nome, ad ascoltarlo, a riconoscerlo in un percorso di limpidità verso se stesse, spostandoci dal giudizio e anche misurandoci col sentimento del perdono (che non c’è stato); Medea è un nome addormentato che abita tutte le donne». Medea ci restituisce la dimensione della complessità di ciascuna donna, che non è solo negazione e vittima.

Conoscersi è fare esperienza della vertigineconoscersi è morire, mi ricorda Marilena citando Pirandello – ed ecco perché Trilogia delle donne dell’acqua, che racconta i confini che ci tocca attraversare, ci spinge a prendere coscienza dell’attrazione della vertigine.

È al confine – e il confine per eccellenza è quello tra terraferma e mare, quel mare che porta e toglie, che dà la vita e dà la morte – che ci si conosce, rapportandoci all’Alterità che abita fuori e dentro di noi.

Non voglio rapire oltre il tempo di Marilena, è arrivato il momento di salutarci. Quando le chiedo, da ultimo, che cosa sia per lei il sale della vita – domanda di rito che qui su SALT poniamo a tutte le persone che incontriamo e intervistiamo, ricordando le origini di questa Webzine – mi risponde senza pensarci, con il tono calmo e gentile da narratrice che ho scoperto esserle proprio, che è sempre l’incontro con l’Altro, la relazione, il sale della vita: è l’avventura dell’incontro e della relazione.

Dopo un’ora trascorsa in sua compagnia – a parlare di Dante, di scuola, di Napoli, del rapporto tra Elsa Morante ed Elena Ferrante, di scrittura, dell’amore di Penelope  – posso osservare su di me e sul mio tempo l’effetto magico e vertiginoso del nostro Incontro.

Grazie a Marilena per il suo tempo gentile e a Valeria per averci fatte incontrare.

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