Da questa parte del mare, Gianmaria Testa
“Nei canali di Otranto e Sicilia
migratori senz’ali, contadini di Africa e di oriente
affogano nel cavo delle onde.
Un viaggio su dieci si impiglia sul fondo,
il pacco dei semi si sparge nel solco
scavato dall’ancora e non dall’aratro.
La terraferma Italia è terrachiusa.
Li lasciamo annegare per negare.”
(Naufragi – Erri De Luca)
Con questa poesia Gianmaria Testa apre ogni suo concerto, quasi a voler testimoniare un impegno o un qualcosa che non possiamo permetterci di dimenticare.
Cantautore italiano poco conosciuto in Italia fino a qualche anno fa, ma da sempre molto apprezzato oltralpe, Gianmaria Testa è un poeta della musica capace di raccontare storie con sonorità dolci e ricercate, sempre accompagnate da un sentimento di flebile malinconia-caratteristica immancabile dei suoi lavori.
Nel 2006 esce Da questa parte del mare, concept-album dedicato al tema delle migrazioni moderne. Tra le note di questi undici testi il cantautore piemontese ci racconta le ragioni del “partire”, la sofferenza del lasciare la propria terra, le aspettative, il significato delle parole “viaggio” e “sradicamento”. Da questa parte del mare ci ricorda che per capire è necessario immedesimarsi e cercare di guardare con lo sguardo di chi sta dall’altra parte. Sempre.
Il tema delle migrazioni diventa così il fil rouge che collega gli undici brani di Da questa parte del mare. Quando decido di ascoltare questo album so che devo prendermi del tempo, amo ascoltarlo tutto, dalla prima all’ultima canzone…un po’ come con una storia, perché che gusto c’è se ci si ferma a metà senza sapere come va a finire?
Come in ogni racconto di viaggio, la storia inizia con una partenza, sofferta e dal sapore amaro ma, allo stesso tempo, accompagnata da sogni e speranze. Nasce così il primo brano dell’album –Seminatori di grano– nel quale la voce di Testa è accompagnata dal sorprendente clarinetto di Gabriele Mirabassi a comporre una melodia dal sapore dell’abbandono.
Al momento del distacco dalla propria terra segue il viaggio per mare abilmente tratteggiato dai versi di Rrock, sorpresa e ansia legate a quell’immensa distesa blu si mischiano in un intreccio di sonorità intense e sempre più agitate “..ma non era così che mi avevano detto il mare”. A far da protagonista ancora una volta è il clarinetto di Gabriele Mirabassi a cui si aggiunge la chitarra elettrica di Bill Frisell in un crescendo musicale accompagnato dalla vocalità del cantautore piemontese che nell’ultimo minuto riprende un tema fortemente orientale capace di richiamare altri mondi e culture.
Ogni viaggio porta inevitabilmente con sé un senso di smarrimento e di malinconia, Forse qualcuno domani ce lo ricorda grazie alla fisarmonica di Biondini che cresce piano piano in sottofondo e a un Testa che sembra quasi recitare più che cantare “Perché un nome è perduto per sempre se nessuno lo chiama…”; lo smarrimento e la paura sono d’altronde sentimenti inevitabili per chi sta affrontando un viaggio nel quale molte speranze si sono già spezzate e in molti hanno perso la vita. Il canto di una sirena in Barca scura racconta le tante vittime delle navi naufragate mentre rincorrevano sogni… o forse chimere.
I due brani che seguono, Tela di ragno e Il passo e l’incanto, riportano l’ascoltatore in modo freddo alla realtà; non c’è nessuna terra promessa, nessuna speranza troverà risposta perché “è meglio non far rumore quando si arriva, forestieri al caso di un’altra sponda, stranieri al chiuso di un’altra sponda”.
Il momento più intenso di tutto l’album si raggiunge con 3/4, struggente lirica d’amore che, come lo stesso Testa dirà in una performance dal vivo, “è la canzone d’amore che ho immaginato che lui dedicasse a quello sguardo e a quegli occhi non ritrovati…”, testimonianza dei tanti clandestini costretti a separarsi dai propri amori ormai perduti.
Quasi a chiusura dell’album troviamo due brani a dir poco meravigliosi. Al mercato di Porta Palazzo è un affresco del mercato più cosmopolita d’Italia e forse anche d’Europa, la voce di Testa ci porta tra le bancarelle, sembra di poter annusare gli odori o sentire le urla dei commercianti; e Ritals, testo dedicato a Jean-Claude Izzo il cui padre era un salernitano emigrato in Francia che, come tanti altri, aveva dovuto sopportare il modo con cui i francesi chiamavano spregiativamente gli immigrati italiani: ritals, appunto.
L’ultimo tappa di questo racconto di canzoni è, infine, La nostra città; brano brevissimo (solo 1, 47’’) che rappresenta il punto di vista di chi ha gettato il proprio sguardo al di là della nostra parte del mare.
Sembra quasi di poter immaginare un Gianmaria Testa che, seduto sulla riva del fiume che attraversa una piccola città, ci racconta questa storia che si ripete ogni giorno. Senza sosta.
Paola Galli
titolo | Da questa parte del mare
anno | 2006
artista | Gianmaria Testa
genere | Rock/Jazz
durata | 44:39’
etichetta | Harmonia Mundi/ RadioFandango
[…] Bianchi Ecco gli articoli di questo numero: SOUND ACTION LITERATURE […]
[…] Se è vero che gli incendi non si possono spegnere con una legge, è altrettanto vero che non si può restare inermi a guardare chi affronta un viaggio così disperato, in condizioni indegne per l’essere umano, per poi scoprire che non esiste alcuna terra promessa, che “è meglio non far rumore quando si arriva, forestieri al caso di un’altra sponda, stranieri al chiuso di un’altra sponda” come canta Gianmaria Testa. […]
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