Da Helsingør al Louisiana Museum | C’è altro in Danimarca oltre Copenaghen
Il Mare del Nord si increspa leggermente sulla breve riva che cinge il castello di Kronborg a Helsingør, vicino all’estremo nord della Danimarca, a un passo dalla Svezia. Soffia un vento teso che scende direttamente dal Polo e si inumidisce sulle acque gelide ma trasparenti. Il cielo ricoperto di nuvole basse uccide i riflessi, ma dalla spiaggia impastata di alghe scure, conchiglie rigate e gusci di cozze si intravede il fondale. L’orizzonte schiarisce, spinto dal ciclico susseguirsi di vortice polare ed alte pressioni che regolano i climi di queste estremità continentali.
L’erba è di quel verde acceso, stereotipo dell’Europa del nord, dalle distese della Scozia alle primavere dei fiordi, canto del cigno di un novembre freddo, nell’attesa di essere soffocata da uno strato di neve. Nel porticciolo galleggiano alcune meduse quasi trasparenti, come blocchi di ghiaccio conservati dalle acque gelide. Alla banchina sono ormeggiati un paio di vecchi pescherecci verniciati di recente. Un ferry è appena salpato verso la Svezia. All’inizio della rampa di alaggio, un cassone di sale. Il memento mori della stagione che incede. La storica convivenza di questi popoli con gli elementi.
Poco più di 60 mila abitanti, la cittadina di Helsingør deve il suo nome alla sua vicinanza con lo Stato svedese: hals, lo stretto. Quel braccio del mare Øresund che separa i due territori. I colori sono un artificio prezioso, soprattutto nei mesi invernali: le case squisitamente nordiche delle vie del centro si alternano in azzurri, rossi e gialli accesi. È un’architettura leggermente più bassa di quella della capitale, così, tra le case dalle ampie finestre assetate di sole, senza l’ombra di una tenda, svettano i mattoni rossi della chiesa adiacente al mare, quella di Sankt Mariae, e quelli della cattedrale di St. Olai. La luce costantemente crepuscolare si infila tra le arcate acute del chiostro di Santa Maria e si rincorre sui pavimenti umidi. Nella navata centrale è appena finito un battesimo e, al riparo dal gelo, la famiglia del nuovo catecumeno sorseggia un tè col parroco a margine dei banconi.
Sul porticciolo si affaccia la premiata struttura architettonica del Maritime Museum of Denmark. Pochi metri dopo, invece, inizia la passerella che porta al sito UNESCO del castello di Kronborg, quello immortalato nel 1600 nell’Amleto di Shakespeare, anche se la sua costruzione risale al 1500. Le guglie verde acqua si appoggiano su pareti di pietra che si mimetizzano col cielo in un gioco di inversione dei colori.
Un sentiero costeggia la fortezza circondata dai cannoni mentre, sulla sinistra, dei terrapieni nascondono ingressi, tunnel, e passaggi labirintici. Dalle finestre illuminate si intravedono le sale magnificenti: il problema con le tende, in Danimarca, è abbastanza risalente.
Il treno corre a sud: si allontana da Helsingør costeggiando il Mare del Nord. Nelle foreste a lato della ferrovia coraggiosi umani o apparenti tali si avventurano in percorsi di hyking. Dopo un paio di fermate c’è Humlebæk, sede del Louisiana Museum of Modern Art. Ci si arriva a piedi dalla stazione, con una camminata di circa un chilometro lungo una statale abbastanza anonima.
La struttura del museo è stupefacente. La convivenza della Danimarca (e dei danesi) con la natura qui raggiunge il suo apice. Cemento, legno e vetro si infilano in un parco di conifere e latifoglie che degrada lentamente nel mare. Statue e opere di arte moderna si alternano ai tronchi. Un messaggio della compagnia telefonica ricorda che a pochi chilometri d’acqua c’è ancora, di nuovo, la Svezia.
L’edificio, costruito nel 1958, è opera degli architetti Wilhelm Wohlert e Jørgen Bo. La sedicente luce nordica si infila nelle vetrate ampie che mostrano il mare della baia. All’interno e all’esterno, accanto alle sempre spettacolari mostre temporanee che si susseguono durante l’anno, opere di Mirò, Max Ernst, Giacometti, Heerup, Warhol, Serra e Picasso. È di contemplazione anche il momento del pranzo. Il bistrot del museo è un’esperienza panoramica, oltre che culinaria. I sapori nordici accompagnano la vista, interrotti da un chiacchiericcio in molteplici lingue.
L’alta pressione ha vinto questa manche. Le nuvole basse sono scomparse, lasciando spazio a un tramonto terso.
Un giorno, forse, riusciremo a spiegarci perché ad alcuni di noi si scalda il cuore ad ammirare la calma del Mare del Nord.