Cuphead – la serie Netflix | Di tazze, ragtime e amarcord

Cuphead – la serie Netflix | Di tazze, ragtime e amarcord

Cuphead

Il mondo dei videogiochi si divide ormai in due grossolani gruppi: i giochi indie/produzioni minori e le grandi produzioni, in stile Assassin’s Creed, per intendersi. 
In questo panorama dicotomico, Chad e Jared Moldenhauer dello studio MDHR hanno pubblicato nel 2017 Cuphead, una vera e propria ventata d’aria fresca per i nostri pc e per le nostre console.

Esponente dei vecchi platform run ‘n ‘gun (Metal Slug anyone?), Cuphead ha colpito per la semplicità del sistema di gioco e per la sua satanica difficoltà. E, non ultimo, ha fatto innamorare i giocatori per un look e un sonoro in pieno stile cartoni animati degli anni ’30 assolutamente adorabili. Finché non diventavano detestabili con annesse blasfemie per la difficoltà di cui sopra. In ogni caso, il successo del gioco ha reso inevitabile che le tazze protagoniste del gioco finissero anche nella scuderia di Netflix con la loro serie animata, pubblicata giusto qualche mese fa in dodici episodi di breve durata.

Cuphead, furbo e spericolato pupazzo-tazza dai pantaloni rossi, e il più cauto e timoroso fratello Mugsman dai pantaloni blu vivono col Nonno Bricco (inaspettatamente anziano a forma di… bricco da caffè) sull’Isola Calamaio. 
La loro pacifica e non del tutto priva di scorribande esistenza scorre serena fino a quando non decidono di fare un giro al Cattivale, ovvero il luna park di Satanasso. Qui, il povero Cuphead viene sconfitto ad una delle giostre e rimane così in debito con Satanasso della propria anima. Non volendo rinunciare a un bene così prezioso, le due tazze riescono a fuggire, suscitando la demoniaca ira e dando il via alle loro avventure.

Esteticamente ci troviamo di fronte ad una piccola gemma wannabe vintage. 
La veste grafica ricalca stilisticamente quella del videogioco, che era già un riuscitissimo omaggio all’animazione del passato: scenari coloratissimi, tanto quanto i personaggi, con quelle espressioni e movenze buffe e assolutamente esagerate che fanno tanto Warner Bros.
 L’effetto è apprezzabile se pensiamo che è il risultato di una tecnica ibrida tra disegni a mano e disegno e animazione tramite software, ma probabilmente l’ideale sarebbe stato puntare pienamente sulla realizzazione a mano, un lavoro improbo per una serie del genere.

Bisogna ammettere che, nonostante il buonissimo risultato, lo stesso videogioco probabilmente è maggiormente riuscito da un punto di vista grafico. Il fascino, in ogni caso, non manca.

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Il comparto audio non è da meno, con una colonna sonora perfettamente contestualizzata, tra jazz e ragtime, passando per gli altrettanto classici momenti “musical” talmente ruffiani da funzionare perfettamente. Nota di merito per il doppiaggio e i dialoghi in italiano che si amalgamano perfettamente con il prodotto. 
Anche dettagli, come i titoli di coda degli episodi, sono perfettamente studiati e contribuiscono all’atmosfera vintage in modo efficace. Insomma, la confezione del pacco è molto buona, non c’è molto da dire.

La storia, cui già accennavamo, non è delle più originali, ma i personaggi sono talmente ben caratterizzati, sia caratterialmente che come aspetto fisico e sonoro, da rendere merito a ciascuna delle dodici puntate. Da Satanasso al Re Dado, da Bricco al neonato trovatello c’è personalità da vendere. Nonostante il filo narrativo comune della lotta tra le due tazze e Satanasso venga ripreso più volte, ogni episodio vive di breve vita propria e narra l’ennesimo guaio in cui si vanno a cacciare i due fratelli, permettendo di conoscere meglio i diversi personaggi e di godere della loro già citata caratterizzazione, cosa che veniva più difficile nel videogioco, date le sue dinamiche.

Qualcosa però manca a questa serie rispetto al videogioco. E non è una mancanza da poco.

Ciò che manca è la cattiveria cinica, l’umorismo beffardo di chi si prendeva gioco di Cuphead e Mugsman così come del giocatore, intento a portare a termine un gioco che Darksouls scansate.
 Ci sono dei guizzi, ci sono delle gag che riescono a suscitare quella malizia, ma l’effetto nella serie Netflix è estremamente limitato. È evidente che la casa produttrice abbia deciso di puntare su un prodotto più potabile anche per i più piccoli, piuttosto che su uno stile à la South Park come livello di cattiveria.
 È un grandissimo peccato, perché ne risente abbastanza il sapore dell’opera ne risente abbastanza, almeno per chi ha mollato da poco il joypad.

Ciononostante, non possiamo dire di trovarci di fronte ad una brutta serie, anzi al contrario. Probabilmente, per quello che è il suo target, possiamo dire che abbia colpito nel segno. E, altrettanto probabilmente, potrebbe essere decisamente più apprezzata da chi non ha provato il videogioco.
 Le puntate scorrono veloci e appaganti, spesso si sorride e l’effetto amarcord funziona.

È estremamente probabile che ci saranno altre serie di Cuphead da guardare e non mancheremo, ma di sicuro dopo aver spaccato qualche altra tastiera sui sequel del videogioco, che attendo con molta più ansia.

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Videogame Cuphead

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