Cuba and the Cameramen | Jon Alpert
A cosa pensereste se vi chiedessi di associare una parola a Cuba?
Rhum, salsa, caraibi, mare, sole, sigari, mojito, vacanze, sesso, tabacco? Oppure rivoluzione, comunismo, Che Guevara, Fidel Castro, regime?
Spiagge caraibiche con acque trasparenti e automobili colorate anni ’60 sono comparse almeno una volta sui newsfeed social di tutti noi, e tutti abbiamo visto Che Guevara stampato sulle t-shirt molto più spesso che sui libri di storia. È molto probabile quindi che la risposta alla mia domanda rientri nel primo gruppo di parole, quelle che evocano una Cuba da villaggio vacanze, da cartoline dell’Habana Vieja, un luogo di svago e divertimento.
Ma la Cuba di oggi è profondamente diversa da quella che era (o cercava di diventare) negli anni ’60 e ’70. La trasformazione è ancora in corso ed ha toccato ogni aspetto della vita politica, sociale ed economica del paese. Il giornalista americano Jon Alpert racconta come nessun altro questa trasformazione nel documentario Cuba and the Cameramen (disponibile su Netflix).
Il film percorre oltre 40 anni di storia cubana, attraverso il materiale che il regista ha girato nel corso di varie visite sull’isola. Oltre alla straordinaria lunghezza temporale del periodo raccontato e vissuto, il documentario ha la forza di trasmettere il calore dei legami umani che Alpert ha saputo creare con diversi cubani nel corso degli anni.
Arrivato sull’isola pieno di ideali e curiosità nei confronti del nuovo esperimento sociale che era Cuba, Alpert ha documentato e affrontato negli anni successivi la delusione per un sistema idealmente nobile, ma impraticabile nella realtà. L’esodo dei cubani che volevano fuggire in America (a cui Castro concesse di lasciare l’isola nel 1979, riempiendo però le barche di detenuti e pazienti degli ospedali psichiatrici), la grave crisi economica degli anni ’90 seguita al crollo dell’URSS e le precarie condizioni di vita della popolazione non vengono mascherati nel documentario. Tuttavia Alpert non nasconde le sue simpatie verso Castro e verso gli ideali della rivoluzione “stanno realizzando quello per cui combattiamo a New York” dice delle politiche sociali del nuovo regime a fine anni ’60.
Indubbiamente questa sua simpatia lo ha portato dove nessun altro giornalista americano era arrivato: ad intervistare, in più di un’occasione, Fidel Castro. Alpert è stato anche l’unico reporter americano ad essere presente al viaggio di Castro verso gli Stati Uniti nel 1979, per il discorso del leader cubano alle Nazioni Unite. Questo è il passaggio del film dove maggiormente La Storia irrompe sullo schermo, con il volto e il carisma di un Fidel Castro ancora all’apice della sua carriera politica.
Per il resto Cuba and the Cameramen non si può definire un lavoro di approfondimento e analisi storica, quanto piuttosto il racconto della storia, quella con la lettera minuscola, quella della popolazione e della gente comune. Ed è qui che sta la vera ricchezza del film.Tornando, ad ogni visita a Cuba, a trovare le stesse persone, le stesse famiglie, Alpert è riuscito davvero ad instaurare con loro dei legami di amicizia e affetto. Quello che di più autentico ci regala Cuba and the Cameramen è l’umanità della vita di Cuba, nei momenti migliori e nei momenti peggiori per l’isola e per chi la abita.
Per molti versi sono rimasta delusa dal mio recente viaggio a Cuba, dove troppo spesso tutto mi è sembrato come un grande villaggio vacanze, ma quello che ho ritrovato nel documentario di Alpert così come nella realtà è proprio questa grande umanità, e una certa impalpabile fatalità. Forse è perché il nostro mondo è tanto diverso, ma penso non sia possibile rimanere indifferenti davanti alla fede con cui, ad esempio, i fratelli Borregos hanno accolto la rivoluzione “ci piacerebbe avere l’elettricità e l’acqua corrente, ma non si può avere tutto, qualsiasi cosa ci daranno andrà bene”, e poi la forza con cui, nonostante tutto, hanno resistito alla crisi economica.
Alcuni dei personaggi incontrati da Alpert sono emigrati, oppure sono finiti in carcere. A Cuba oggi ex ingegneri elettronici vendono souvenir per la strada, i tassisti guadagnano più dei medici. La vita non è solo rhum e salsa, e ormai degli ideali che hanno guidato la rivoluzione è rimasto poco.
Sono rimaste però le persone, sono rimasti i sorrisi, aperti, caldi, sono rimaste l’allegria e una certa fatalità.